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Berlinguer - La grande ambizione

Regia di Andrea Segre vedi scheda film

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La recensione su Berlinguer - La grande ambizione

di diomede917
6 stelle

CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: BERLINGUER – LA GRANDE AMBIZIONE.

La cosa che più mi ha colpito al termine della visione di Berlinguer -La Grande Ambizione è legata alle immagini di repertorio relative al funerale del grande statista che ha portato il Partito Comunista Italiani a numeri mai visti, paradossalmente numeri altissimi anche come presenze nel giorno della sua morte.

E’ stato impressionante vedere non solo la marea di gente in lacrime che gli voleva veramente bene per quello che rappresentava, ma soprattutto vedere vicino al suo feretro artisti del calibro di Federico Fellini, Ettore Scola, Michelangelo Antonioni, Marcello Mastroianni e Monica Vitti e mi sono chiesto “Ma perché nessuno di questi grandi registi abbia avuto il coraggio di girare un film che raccontasse il loro fuoco, la loro Italia attraverso la storia del loro Leader e abbiamo dovuto aspettare 40 anni un regista che è nato proprio negli anni della narrazione e che grazie alla sua formazione documentaristica ci ha regalato una minuziosa ricostruzione storica del cammino che ha portato al “Compromesso Storico” ossia la Grande Ambizione gramsciana rivista dal Enrico Berlinguer”.

L’impianto narrativo di Andrea Segre è ben chiaro. Come una lezione di Storia Contemporanea alla facoltà di Scienze Politiche decide di raccontare 5 anni ben definiti della vita politica e umana di Enrico Berlinguer dall’attentato di Sofia del 1973 avvenuto proprio mentre ci sta rivelando il suo film preferito alla Morte di Aldo Moro che distruggerà definitivamente il suo ambizioso progetto di fare quel salto di qualità che avrebbe portato il Partito Comunista a governare con l’anima meno reazionaria della Democrazia Cristiana.

Andrea Segre punta tutto sulla capacità trasformistica di Elio Germano che grazie alla sua identificazione (non solo al personaggio ma soprattutto agli ideali che rappresentava) in Enrico Berlinguer ha vinto il premio come migliore attore alla Festa di Roma. Il paradosso è che quasi contemporaneamente al cinema abbia Elio Germano che rappresenta due modi di vedere la Leadership: il suo Berlinguer poggia tutto su una fisicità fortemente carismatica, un piccolo grande uomo capace di riempire le piazze (bellissime le scene dei suoi discorsi quasi sempre visti dalle sue spalle per vedere l’effetto di chi ascolta) mentre il suo Messina Denaro è mefistofelico ma entrambi i personaggi sono dotati di un lessico e una dialettica inaspettata.

Il punto di forza e contemporaneamente il punto di debolezza del film è che un one man show unico, dove il Berlinguer politico diventa un tutt’uno con l’Elio Germano attore lasciando tutti sullo sfondo.

I “Compagni” di partito rimangono semplici figurine che dicono la loro battuta per poi ritornare sullo sfondo: Nilde Iotti evidenzia la misoginia all’interno del partito durante il tentativo di Fanfani di abolire la legge sul Divorzio, Ugo Picchioli è un narratore di aneddoti e dati percentuali, Ingrao e Cossutta due marionette che accettano le decisioni dall’alto come semplici impiegati. Gli altri esponenti politici sono comprimari da due minuti come l’Andreotti di Paolo Pierobon che ricorda Oreste Lionello con la voce di Massimo Popolizio e l’Aldo Moro di Roberto Citran risulta impalpabile soprattutto dopo la maestosa prova di Fabrizio Gifuni. Un contesto politico che cinematograficamente parlando straperde il confronto con la descrizione della corrente Andreottiana fatta da Sorrentino nel Divo.

La parte interessante del film che avrebbe meritato un maggiore approfondimento sia in fase di sceneggiatura che di regia è il Berlinguer più privato, quello che faceva ginnastica in casa in camicia e pantalone e poi fumava 3 pacchetti di sigarette, quello che dialoga con i figli che hanno il polso del movimento studentesco e che hanno la fortuna di confrontarsi con il leader del Partito Comunista Italiano che parla loro sia come padre che come politico, quello che ha sacrificato l’amore di una donna che pensava di aver sposato un grigio funzionario di partito e invece è diventata la moglie di ENRICO BERLINGUER, quello che sa dire TI AMO scrivendolo come fosse un comizio forse perché le sue parole sono sempre uscite dalla sua anima.

Un bel docufilm ma il cinema è un’altra cosa.

Voto 6,5

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