Regia di Andrea Segre vedi scheda film
Distaccato e poco incisivo. Cinque anni di Berlinguer tra fiction e cinegiornale.
Il periodo d‘esame scelto dal regista Andrea Segre è quello cruciale, dal 1973 al 1978, quando rapimento e uccisione di Moro, fanno naufragare definitivamente qualsiasi grande o media ambizione si stia rincorrendo: il tentativo di smarcarsi dalla soverchiante egemonia sovietica e quello, ancora più complicato, di riuscire a governare in Italia, nonostante la maggioranza relativa acquisita.
Ne esce una raffigurazione algida, deferente bignamino, con quadretti familiari sempre all’insegna della pacatezza - tranne una parolaccia della figlia - e comportamenti politici che non lo fanno apparire mai deciso e fulminante.
Il tutto alternato a immagini di repertorio ed episodi serenamente bypassabili con Elio Germano quasi col freno a mano tirato, come a doverla mitigare la personalità di Berlinguer.
Una grande ambizione che sembra sciogliersi inesorabilmente sommersa da eventi (vedi Moro) cui sarebbe stato utile intuire visione e interpretazione di Berlinguer, così come per il presunto attentato a Sofia, che lo vede coinvolto ad inizio pellicola.
Probabilmente per pudore e discrezione non si è voluto osare e la fine, coi suoi funerali, sembra quasi tirata via quando rimarrà, invece, un episodio di vita politica comune e condivisa, di grande impatto emotivo. Peccato.
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