Regia di Andrea Segre vedi scheda film
Sotto il profilo storico è evidente l'attenzione a non forzare la mano in nessuna direzione, a non sbilanciarsi: ne sortisce un'opera filologicamente corretta ma misurata al punto di passare per fredda, sicuramente utile per raccontare in maniera pulita quel quinquennio nelle scuole, ma difficilmente destinata a rimanere negli occhi o nel cuore.
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA - FILM D'APERTURA
«Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è invece indissolubile dal bene collettivo».
Questa citazione di Antonio Gramsci apre il film con il quale il regista Andrea Segre ha voluto colmare un vuoto, ovvero raccontare la fase più importante del cammino politico del segretario più amato che il PCI abbia mai avuto: Enrico Berlinguer, che nel corso degli anni '70 portò il PCI ad esser considerato il partito comunista più importante d'occidente, giungendo ad un passo dal portare il "socialismo nella democrazia", come diceva citando egli stesso Togliatti.
Senza voler realizzare un biopic, Segre sceglie di concentrarsi sugli anni più importanti di quel percorso, prendendo come momento di inizio il colpo di stato in Cile dell'11 settembre 1973, che lo indusse a scrivere la lettera in cui teorizzava la "via democratica al socialismo", per poi concentrarsi sull'intenso biennio 75-76 e culminare nel 1978, quando il compromesso storico fu affossato ad un passo dal realizzarsi con il sequestro e l'uccisione dell'altro protagonista dello stesso, ovvero Aldo Moro, presidente della DC.
Segre punta forte su un Elio Germano bravissimo nel rendere il senso di inadeguatezza e il peso della responsabilità (per dirla con le parole dell'attore stesso) che gravavano sul Berlinguer politico mantenendolo uomo, e sceneggia con Marco Pettenello inserendo qualche intermezzo familiare volto a mostrare quanto vita politica e privata fossero per lui per lo più coincidenti; sotto il profilo storico è invece evidente l'attenzione a non forzare la mano in nessuna direzione, a non sbilanciarsi: ne sortisce un'opera filologicamente corretta ma misurata al punto di passare per fredda, sicuramente utile per raccontare in maniera pulita quel quinquennio nelle scuole, ma difficilmente destinata a rimanere negli occhi o nel cuore.
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