Regia di Roberto Minervini vedi scheda film
AL CINEMA/FESTIVAL DI CANNES 77 - UN CERTAIN REGARD - PREMIO MIGLIORE REGIA
-Mi piace credere di sapere cosa è il bene e cosa è il male. ...
-Per me si tratta di sopravvivere...uccidi o muori".
L'arte della guerra ha spinto spesso, nelle varie epoche storiche, uomini di ogni ceto ed estrazione ad arruolarsi per difendere la propria patria dalla minaccia di un sopruso da parte di una invasione nemica.
Più difficile, soprattutto umanamente, appare giustificare una discesa in campo quando si tratta di tenere a bada e debellare una minaccia che proviene da una fazione avversa del proprio medesimo paese.
Ne I Dannati, l'azione si svolge durante la Guerra di Secessione, nelle sue fasi iniziali occorse durante l'anno 1862.
In questo contesto lo spettatore (in)segue (letteralmente) alle spalle un piccolo plotone di nordisti accorsi tra le montagne attorno a Tucson, in Arizona, con lo scopo di stanare un gruppo di sudisti ed unirsi ad una guarnigione di truppe alleate, per rimpinguare le forze e prepararsi adeguatamente ad una operazione di assedio.
Uomini spesso arruolatisi come volontari, sia essi giovani virgulti strappati al rispettivo ruolo sociale, che padri anziani affannati sul campo assieme ai propri figli sedicenni motivati e vitali, ma inevitabilmente insicuri e dubbiosi.
Perché il dubbio lancinante se sia lecito uccidere un proprio conterraneo, pur responsabile di esser fautore del perversare di una atroce pratica come l'utilizzo della schiavitù, porta ad interrogarsi sulla effettiva necessità di ricorrere ad un massacro fratricida per risolvere un dilemma morale e certamente disumano come fu, già dagli albori della colonizzazione, il fenomeno della tratta dei neri.
Dio ha detto: "-Chi di spada ferisce, di spada perisce".
Siamo andati oltre: non si torna indietro.
La consapevolezza di dover farsi parte fisica e morale per la difesa di un valore umano e patrio irrinunciabile, non impedisce ad un giovane timorato di Dio di non domandarsi cosa significa essere uomo, adulto e fiero delle proprie certezze morali.
Certezze che, al momento, tali ragazzi nemmeno si possiedono, ma al massimo si intuiscono.
"-Non so se è combattendo che si diventa uomini. So che sono ancora troppo giovane per esserlo.
-A volte bisogna saper aspettare.... sarai forte quando verrà il momento".
Il ritorno in regia del bravo e da tempo "internazionale" Roberto Minervini, avviene, per la prima volta, con un film in costume girato su un improvvisato quanto vasto ed impervio campo di battaglia.
La tensione di uno scontro procrastinato fino a rivelarsi psicologicamente, oltre che fisicamente, estenuante, viene rappresentata da Minervini con il suo stile compassato e meditativo che rifiuta l'azione fine a se stessa, privilegiando la riflessione.
Per questo motivo il regista tallona letteralmente le spalle del manipolo di soldati, tutti intenti a stanare un nemico che non appare, e quando appare si presenta poco identificabile, se non per il fatto di essere anche lui un essere umano.
Minervini sembra assimilare il nemico ad una figura fantasmagorica ed indefinita, la cui presenza si rivela costante, per quanto difficile da percepire nei tratti, secondo una dinamica dell'attesa che si rivela il vero tallone di Achille da parte di chi si prepara ad una battaglia che non sembra avere dinamiche né regole definite con cui confrontarsi.
Situazioni e devasto interiori che rimandano inevitabilmente a tematiche come l'impellenza di una attesa sempre più frustrante, che non può ricordare l'ossessione di Buzzati nel suo capolavoro Il deserto dei Tartari.
I dannati segna, già dal titolo inequivocabile, il destino di un manipolo di volenterosi eroi martiri, che si pongono eroicamente a farsi partecipi di un dilemma etico e civico cruciale, in cui senso di responsabilità patrio non impedisce di dissipare le perplessità legate alla necessità di un massacro tra consanguinei che si intuisce inevitabile e giustifica la presa di posizione, più morale che formale, che impone ai soldati un dubbio etico impellente e doloroso quasi quanto il timore di un imminente scontro fisico.
Minervini film la guerra nel suo strazio interiore che si sviluppa nella psiche, prima ancora che nella materialità di uno scontro sempre procrastinato, e di cui alassimo si scorgono le drammatiche e sanguinose conseguenze.
Del validissimo film rimane impressa soprattutto la dinamica ossessiva di pedinamento della truppa nel suo inseguimento/fuga, che probabilmente è la qualità che ha indotto la giuria del Certain Regard a riservare a Roberto Minervini il meritato premio alla regia a Cannes 77.
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