Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Lola è il secondo film della trilogia di Fassbinder sulla Germania ovest (il primo è “Il matrimonio di Maria Braun” del 1979, il terzo è “Veronika Voss” del 1982), ambientato nel 1955.
Al contrario dei film dei primi anni ’70, più simili al teatro, negli anni ’80 Fassbinder rinuncia al minimalismo; se prima approfondiva grossomodo una tematica per film, adottava una regia più statica (legata a primi piani e inquadrature fisse e geometriche), un montaggio più compassato, una fotografia naturalistica, una colonna sonora scarna e una recitazione più trattenuta (attori spesso fermi e assenza di overlapping), ora i suoi film diventano più barocchi. Rispetto a “Lili Marleen” (1981) però il barocco è più stilizzato e quindi controllato.
In interni l’illuminazione ricorda Mario Bava o “Suspiria”, con molte luci di colori saturi che macchiano l’ambiente e i personaggi, evidenziano elementi architettonici e dividono i piani in alcune costruzioni in profondità di campo. Il risultato è una colorazione pop, da fumetto. Il dopoguerra è speranzoso e sgargiante, ma è anche squallido; non è un caso che il luogo più colorato sia il bordello, dove le prostitute sono sfruttate e i politici fanno i loro accordi con gli imprenditori. In esterni una luce rosa illumina gli attori solo quando sono vicino alla macchina. Per il resto la regia è simile a quella di “Lili Marleen”: la macchina percorre molti ampi movimenti, meno schematici di quelli dei film precedenti del regista, ma anche meno stilizzati e personali. Il rapporto dell’immagine è quello panoramico dell’European Flat (1,66:1), funzionale ad una maggiore spettacolarizzazione rispetto al precedente 4:3.
Dopo la guerra la popolazione deve adattarsi ad una nuova morale e una nuova politica, ma la ripartenza deve sporcarsi con il vecchio sistema corrotto. In città arriva un nuovo assessore, Van Bohm, che deve occuparsi dello sviluppo edilizio, in cui hanno interessi alcuni imprenditori corrotti, in particolare Schuckert, proprietario del bordello in cui lavora Lola (di cui l’assessore si innamorerà), e il sindaco, corrotto anch’esso. Van Bohm è un progressista, che arriva da fuori, esterno al sistema, ma come ne “Il gattopardo” gli esponenti del vecchio sistema sono tranquilli perché sanno che: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”. L’assessore crede nel progresso della Germania in campo economico, morale e sociale. Rivendica la possibilità di essere diversi (vedi scena allo specchio), ma è una personalità accomodante, che non dà veramente fastidio. Cambiano i modi, ma tutti sono corruttibili (detto questo, non si può certo dire che dopo la guerra sia rimasto tutto uguale in Germania).
Fassbinder non sembra avere una tesi chiara su ogni personaggio come al solito, ma mostra esseri umani mutevoli e ambigui su cui sta allo spettatore dare un’interpretazione.
Lola è una prostituta ignorante, che non sarà mai una donna raffinata, secondo un determinismo sociale che Fassbinder aveva affrontato già ne “Il diritto del più forte” (1975). Lola accetta questa apparente legge di natura e non lotta per rimanere con l’assessore quando il loro rapporto è reciso da Schuckert. Quando lo rivede nel club si comporta in modo ancor più rozzo del solito per dimostrare che lei è solo una puttana e si forza per dimenticarlo, perché così l’hanno convinta. Lola è schiava delle sue abitudini.
Quando l’assessore perde il suo amore e scopre di chi è la colpa diventa folle e da razionale e progressista si trasforma in geloso e moralista, da pragmatico diventa idealista, quindi rivoluzionario e non più disposto a compromessi (avrebbe ceduto alle richieste degli imprenditori?). Il suo fedele aiutante idealista, Esslin, che lavora anche per Schuckert, diventa invece pragmatico e antirivoluzionario per ragioni non del tutto chiare.
Von Bohm, folle di rabbia, tenta di incastrare i corrotti, ma alla fine l’amore (sotto la ben poco romantica forma della corruzione) rimette le cose com’erano in città e risolve i problemi di tutti i personaggi: l’assessore si lascia corrompere da Schuckart, che gli cede Lola; rinuncia così a fare giustizia e soprattutto alla propria coscienza, ovvero a ciò che lo rendeva se stesso. L’individuo non può fare a meno di mettersi al di sopra della collettività. Lola raggiunge il suo sogno e diventa una donna dell’alta società, ma non rinuncia alla sua vecchia vita, a cui sembra affezionata, nonostante tutti gli abusi (ancora determinismo sociale).
La stilizzazione fotografica, le riflessioni storiche, che si intrecciano con quelle politiche e sociali, e il nutrito cast di personaggi complessi (tra cui, oltre a quelli citati, sono da annoverare anche la madre di Lola e alcune prostitute, tra cui si instaurano interessanti dinamiche psicologiche e sociali) pongono il film tra i più interessanti di Fassbinder, anche se non tra i più rappresentativi della sua filmografia, data la distanza stilistica dalle opere più celebri degli anni ’70.
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