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Due occhi diabolici

Regia di George A. Romero, Dario Argento vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Due occhi diabolici

di ProfessorAbronsius
8 stelle

Due episodi diabolici per un dignitoso tributo a un mostro sacro della letteratura. Romero supera Argento in fatto di narrazione orrorifica, Argento supera Romero in fatto di orrore visivo. Due episodi speculari ma complementari, a loro modo perfetti nel riprodurre la poetica di entrambi i registi. Voto: 8 e "mai più".

 

"Edgar Allan Poe: dai suoi racconti nasce il nostro film, sognando sogni che nessun mortale aveva mai osato sognare prima". 

 

È così che la voce gelida e perturbante di Dario Argento ci introduce al film che stiamo per guardare, mentre la cinepresa riprende la città di Baltimora in una giornata piovosa, la casa natale di Poe, la statua eretta in onore di quello che H.P. Lovecraft ha definito "il più grande Maestro al mondo del Terribile e del Bizzarro". La citazione tratta dalla famosa poesia The raven sintetizza alla perfezione il duplice incubo letterario partorito dal genio del Maestro e tradotto in immagini da Romero e Argento: La verità sul caso di Mr. ValdemarIl gatto nero

 

Il primo racconto è assolutamente congeniale alla poetica di Romero: il personaggio di Mr. Valdemar, pur prendendo corpo da uno dei tanti deliri immaginati e trascritti da Poe, si inserisce appieno nell'universo delle creature romeriane per eccellenza pur discostandosene per alcuni aspetti. Ricchissimo e avidissimo vecchiaccio malato e agonizzante, Mr. Valdemar muore (apparentemente) durante una seduta ipnotica, ma resta a tutti gli effetti un non-morto. Il suo corpo è quello di un cadavere, la sua anima resta intrappolata in una specie di limbo oscuro da cui non trova via d'uscita. Il suo lamento interiore riecheggia nel mondo dei vivi e chiede di trovare la pace perpetua, di liberarlo dal regno delle ombre in cui si trova imprigionato per effetto dell'ipnosi cui è stato sottoposto dal medico con la complicità di Mrs. Valdemar, amante e complice di quest'ultimo, fautori di un piano diabolico elaborato al fine di impadronirsi della cospicua eredità del morente. Mr. Valdemar risorge dalle tenebre e agisce come una Nemesi implacabile, senza lasciare scampo ai due amanti che verranno mortalmente puniti per la loro mostruosa sete di ricchezza. 

L'episodio romeriano si allontana dal modello letterario attraverso una originale rielaborazione del racconto di Poe in chiave politica e moralistica, rimodellandolo sino a tradurlo nell'allegoria orrorifica di una delle peggiori aberrazioni della modernità: la terrificante brama di denaro e di possesso che disumanizza i vivi. Sono loro i veri mostri per Romero. Pur rappresentando quasi schematicamente questo assunto teorico, l'autore confeziona un piccolo gioiello che tocca il culmine della tensione e della paura soprattutto nelle agghiaccianti scene finali, consegnandoci una dignitosissima trasposizione, ben calata nella realtà contemporanea, del Mr. Valdemar del Maestro.

 

Il gatto nero di Argento parte da una trama esile esile ma funzionale a inaugurare una mostra di atrocità e di efferatezze di cui si macchia lo squilibratissimo protagonista, un Harvey Keitel eccezionalmente malvagio, che per cattiveria e crudeltà è quasi un'anticipazione del Cattivo tenente interpretato qualche anno dopo nel film di Abel Ferrara. L'omaggio argentiano a Poe è reso ancora più esplicito da un citazionismo a tratti esasperato: dalla scena iniziale in cui il protagonista fotografa morbosamente una donna mutilata da una lama a forma di pendolo (Il pozzo e il pendolo) a quella dove Tom Savini, in un macabro cameo, viene arrestato dopo aver estratto tutti i denti al cadavere della cugina (Berenice). Non a caso, i nomi di quasi tutti i personaggi dell'episodio rimandano a un'infinità di figure che fanno parte dell'universo narrativo di Poe. In alcune scene si sprigiona tutta la potenza visiva e la visionarietà che hanno caratterizzato l'Argento degli anni d'oro (tutti gli omicidi sono pezzi da manuale), in altre sono visibili alcune cadute di stile che preludono ai fiaschi cinematografici degli anni a venire (su tutte, a mio parere, la scena onirica del Sabba). Resta il fatto che anche l'episodio argentiano, come quello romeriano, risulti estremamente godibile e non lasci a bocca asciutta gli amanti del Grand Guignol d'autore.

 

Nel complesso, entrambi gli adattamenti postmoderni dei due capolavori di Poe offrono un paio d'ore di "sano" intrattenimento truculento, dando anche spazio a una riflessione per niente banale sulle degenerazioni e mostruosità del mondo contemporaneo. Da vedere e custodire gelosamente, magari su uno scaffale accanto ai Racconti del Terrore.

 

 

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