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Campo di battaglia

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Campo di battaglia

di port cros
5 stelle

Siamo nel 1918, l'ultimo anno della prima guerra mondiale e gli ospedali militari del Friuli traboccano di giovani sodati feriti. Il reparto è diretto dall'inflessibile ufficiale medico dottor Stefano (Gabriel Montesi), che fa sua la missione patriottica di scovare, tra i feriti in battaglia, gli autolesionisti e i falsi invalidi che cercano di farsi riformare, per rispedirli il prima possibile al fronte se non addirittura davanti al plotone d'esecuzione per dare l'esempio. All'opposto opera segretamente il dottor Giulio (Alessandro Borghi) che propone ai ragazzi feriti che per nessuna ragione vogliono tornare al fronte di aggravare la loro condizione: molti accettano con gratitudine, preferendo tornare a casa con una mutilazione che vedere la morte in faccia in trincea.

 

Gianni Amelio sceglie di raccontare la Prima Guerra Mondiale dalla prospettiva della corsia d'ospedale, che la sua macchina da presa non abbandona quasi mai e che rappresenta un “campo di battaglia” quanto quelli dove si spara che qui restano “fuori campo”, e questa è una scelta che poteva risultare vincente.

La prima parte in cui l'opera occulta di Giulio, soprannominato “Mano Santa ” dai soldati, giunge come era da attendersi all'orecchio del severissimo collega è la più interessante : una riflessione critica sull'eroismo richiesto dalla patria ma ben poco sentito da una truppa che non parla nemmeno la lingua nazionale ma una babele di dialetti, e che anela solo al rientro a casa dalle famiglie e alle occupazioni quotidiane. Lo sguardo del regista è sempre compassionevole verso le sofferenze a volte atroci dei giovani italiani e rifugge il moralismo verso che “fa il furbo” per salvare la pelle, schierandosi piuttosto dalla parte di chi impotente viene schiacciato da un militarismo spietato, come il povero catanese Tummino.

 

Tuttavia a metà film Amelio sterza bruscamente e, abbandonando del tutto il primo tema, passa a concentrarsi sul diffondersi tra la popolazione civile e poi tra i soldati di una misteriosa febbre giunta pare dalla Spagna, che il dottor Giulio viene incaricato di studiare. Il film tenta un parallelismo, abbastanza scontato, tra l'influenza spagnola che flagellò il mondo nell'ultimo anno di guerra e il Covid-19 di un secolo dopo, con i personaggi che indossano mascherine chirurgiche non troppo dissimili da quelle che anche noi abbiamo portato e tamponi nasali che sembrano quelli che ci siamo infilati nel naso, lo scetticismo e minimizzazione da parte di alcuni, la paura del diffondersi del contagio, la ricerca di una cura o di un vaccino.

 

Purtroppo questa seconda metà dell'opera rimane del tutto irrisolta, con una sceneggiatura che ondeggia e sbanda incerta della direzione da prendere, al pari di una messinscena statica e noiosa , tra inquadrature ripetitive di reparti con pazienti scossi da accessi di tosse e alambicchi di laboratorio. Anche il personaggio di Giulio si svuota e si sgonfia, fino a una malspiegata dipartita. Le due sezioni dell'opera non riescono a comunicare tra loro e, pur avendo gli stessi protagonisti e ambientazioni, sembrano quasi appartenere a due film differenti, il primo monco di finale, il secondo del tutto abortito.

 

Borghi è convincente nell'accento veneto, e nella prima parte il confronto etico e professionale tra i due protagonisti riesce a destare una tensione stimolante, che poi purtroppo si perde completamente. Invece il personaggio femminile principale, l'infermiera Anna (Federica Rosellini), non lascia mai il segno.

 

Purtroppo Campo di Battaglia, nonostante le buone premesse da cui partiva, si risolve in un'occasione sprecata.

 

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