Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Un film necessario, come si usa dire, ma a chi? A noi che di guerre siamo ormai esperti da salotto? Ai signori della guerra che lucrano a man bassa? A Dio? Si, forse a lui, se mai si ricorderà di questa specie che un giorno gli uscì proprio male dalle mani, ops, dalla bacchetta magica.
Amelio ha girato in alcuni dei luoghi autentici della Grande Guerra, scegliendo il comune trentino di Rovereto, tra Palazzo Betta Grillo e l’ex Manifattura Tabacchi a Borgo Sacco. Alcune scene hanno coinvolto anche forte Cherle, vicino a Folgaria, forte Busa Granda (Levico) e Bleggio (Ponte Arche) per la scena del matrimonio.
In Friuli sono invece coinvolte le città di Udine, Illegio, Venzone, Codroipo (Villa Manin), Cormons e Gorizia.
“Ho scelto di venire in questa regione perché la storia del mio film esigeva il Friuli Venezia Giulia e questi luoghi. Restituendo onestà a ruoli e persone sono stato ripagato dai luoghi, che sono una meraviglia che anche chi vive qui nemmeno conosce. Sono venuto qui, dove la vicenda è accaduta, e ho trovato gente che testimoniava la storia antica, una partecipazione autentica importante e quando le persone si sentono parte di una vicenda che un regista racconta, danno di più. La Prima guerra mondiale è stata devastante, c’è ancora bisogno di parlarne”.
Non è vero, chi vive qui li conosce, Friuli, Veneto e Trentino sono così impregnati di ricordi che anche volendo non si sfugge, ti guardano, ti inseguono, devi farci i conti e quando vedi altre guerre (e ne vedi sempre altre è a quella che pensi e fai confronti.
C’è un luogo di memorie e di silenzio, il Sacrario del Monte Grappa, 23.000 morti composti nei colombari, che la neve abbandona solo pochi giorni all’anno.
23.000 dei 650.000 morti, i ragazzi del ’99, neanche maggiorenni, vennero a morire in terre sconosciute per ragioni sconosciute. I dialetti s’intrecciarono, tra forti, gallerie, trincee, caserme, fili spinati e crateri si cadeva come birilli e il nemico neanche si sapeva chi fosse. I crucchi, li chiamarono.
"Questa lettera dovete darla al prete perché ci ha insegnato le preghiere e io per quello che vedo vorrei bestemmiare”.
Dio, patria, famiglia! Ma dove? Uomini al fronte e donne occupate nelle fabbriche, vecchi e bambini a morire di fame finchè arrivò la spagnola che ne fece fuori a mazzi.
Il cappellano benedice il disertore che sta per essere fucilato da un plotone obbediente agli ordini urlati col solito tono marziale che rende ancora più squallido il rituale.
Benedice a nome di chi?
Parlare della Grande Guerra, comunque e chiunque lo faccia, significa portare a galla una vergogna nazionale (e mondiale) che la retorica fascista infiocchettò ben bene e dopo il ’45 si volle dimenticare, ormai la guerra era entrata nelle case, nelle radio, poi nei televisori, nella (in)coscienza collettiva. E fu anche un business da cui ricavare soldi e potere.
Amelio si cala al fondo, oltre Malebolge, lì dove Lucifero è inchiodato nella palude gelata di Cocito.
Di una trincea vediamo solo l’after Day nella scena di apertura: mucchi di cadaveri, un sopravvissuto fruga nelle tasche, quando trova un pezzo di pane lo afferra e lo mangia, non si va per il sottile quando si ha fame.
Poi spunta una mano viva dal mucchio. E quello si salverà.
Da quel momento entriamo in un ospedale da campo e non ne usciremo più fino alla fine.
Insolito, dunque, parlare di campo di battaglia dove non si spara più.
Si è sparato, i feriti, i quasi morti sono lì, affidati a cure e medicinali e strumentazioni che non osiamo neppure immaginare.
Fra gli altri ci sono anche i cosiddetti automutilati. Perché? Per non tornare in trincea, inutile dirlo.
Devono considerarsi disertori se colti sul fatto?
Ai posteri l’ardua sentenza, intanto noi, nelle nostre “tiepide case” non manchiamo di indignarci.
Sulla Grande Guerra sono stati scritti fiumi di parole e girato film egregi. Questo è diverso.
Dietro l’azione. Un film immobile. File di letti di ferro, pochi dialoghi, luci tremolati di candele o lampade a olio dentro, luce grigiastra fuori di radure montane desolate.
Qualche vicenda umana s’intreccia, s’intravedono alcuni legami, la forza di ribellarsi si fa sempre più fioca, i ricordi spariscono, come censurati dalla sofferenza.
Qualche stilettata al potere Amelio non manca di darla, brevi flash sui furbi che saranno sempre a galla, sui gradi alti che possono decidere la sorte di un protetto, sulle donne. Questo è l’argomento forse meno interessante, la protagonista dall’espressione monotematica per tutto il film, introduce il tema dell’emarginazione femminile nel momento più inappropriato.
Anni dieci, donne e uomini avevano ben poco tempo per rivendicare diritti. Bastava non morire, salvarsi fu come vincere alla lotteria.
Un film sui disastri della guerra cosa può dire di nuovo che non sia già stato detto?
Può farlo, costringerci a guardare uomini capaci di automutilarsi è perfino oltre lo spettacolo dei feriti veri, rischiare la fucilazione, accecarsi, tagliarsi un dito: se questi sono ancora uomini…
Un film necessario, come si usa dire, ma a chi? A noi che di guerre siamo ormai esperti da salotto? Ai signori della guerra che lucrano a man bassa? A Dio? Si, forse a lui, se mai si ricorderà di questa specie che un giorno gli uscì proprio male dalle mani, ops, dalla bacchetta magica.
www.paoladigiuseppe.it
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