Regia di Sergej Paradzanov vedi scheda film
Alla sua uscita nelle sale francesi, la critica definì Le ombre degli avi dimenticati «un meteorite venuto da un altro mondo». Enorme fu infatti il clamore - e lo scandalo - che destò, in patria e non, il primo vero grande film di Sergej Paradjanov. Un'opera radicale e sconvolgente, barocca e visionaria, che segnò per sempre, non solo il futuro del cinema sovietico, ma il destino stesso del suo regista, georgiano ma origine armena. Paradjanov infranse senza mezzi termini gli ottusi tabù del cosiddetto “realismo sociale”, realizzando un'opera senza tempo, mitica e mitologica: un dramma individuale (e dunque già di per sé contrapposto ad un'appacificante identità comunitaria) riflesso attraverso un caleidoscopio di suoni e immagini, astratte e surreali, che sì provenivano da antiche tradizioni, ma che altrettanto volevano superarle.
La realizzazione del film avviene in occasione del centario dalla nascita dello scrittore ucraino Michael Mikhailovich Kocjubinskij. Tratto da un suo romanzo omonimo, Le ombre degli avi dimenticati narra l'amore impossibile tra Ivan e Marichka in una comunità dei Carpazi, separati, come in un dramma scespiriano, a causa delle loro famiglie avverse. La morte prematura di lei, e il matrimonio forzato di Ivan con Palagna non saranno però ostacoli per la coppia, che si riconcilierà nell'aldilà.
Contrapponendosi ad un cinema di tradizione sempre uguale a se stesso, Paradjanov porta al limite la capacità cinetica della macchina da presa. L'uso di una mobilissima camera a mano, dolly inaspettati, angolazioni di ripresa “impossibili” dinamizzano una visione che si situa sempre ad un passo dall'esperienza psichedelica. Parallelamente, l'uso pittorico del colore, eccessivo e figurale – per dirla con Lyotard – tinge la storia di un sapore onirico e stordente. Le ombre degli avi dimenticati è, infatti, un film che vive di contrasti violenti - anche all'interno dell'inquadratura stessa. Prospettive vertiginose “sfondano” continuamente la messa in quadro: Paradjanov, dopo Orson Welles e prima di Raul Ruiz, fa saltare programmaticamente le regole di una visione “corretta”, facendo sprofondare l'occhio dello spettatore in un'anamorfosi strutturale.
Vicino anche temporalmente ad altri nobilissimi esperimenti cinematografici che intendenvano spingere sempre più in là l'asticella del barocchismo visivo – penso soprattutto alla Nouvelle vague polacca, con gli straordinari casi di Rysopis, di Jerzy Skolimowski, o Madre Giovanna degli Angeli, di Jerzy Kawalerowicz; oppure alla Russia del primo cinema di Andrej Tarkovskij -, Le ombre degli avi dimenticati fu prontamente ritirato dalle sale sovietiche e censurato.
Paradjanov verrà infatti ostacolato continuamente nella sua vita di regista – prima arrestato, poi allontanato forzatamente dalla sua attività per anni -, riuscendo a realizzare pochissimi film, tra i quali bisogna ricordare almeno Il colore del melograno, un altro raffinatissimo esempio della passione visionaria e pittorica di questo inclassificabile (e prezioso) regista.
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