Regia di François Truffaut vedi scheda film
È probabilmente il film più religioso di Truffaut, ma ovviamente di una religione che non ha niente di "cristiano" in senso tradizionale. Anzi, le soluzioni che propone il cattolicesimo a consolazione della perdita dei cari sono considerate illusorie e inutili dal protagonista, un giornalista di una cittadina dell'est della Francia, rimasto vedovo da qualche anno dell'amatissima giovane moglie. Raramente le parole di un prete davanti a un feretro sono suonate tanto vuote quanto quelle che Truffaut fa pronunciare al sacerdote all'inizio del film. Certo, l'intransigenza di questo personaggio rasenta (o forse supera) i confini della normalità, ma il regista, che gli presta volto e corpo, non dà mai l'impressione di volerlo additare come un maniaco. Anzi, con la sua camera verde (il luogo in cui serba la memoria dei cari defunti), sembra essere l'unico punto di razionalità in un mondo dominato dalla morte e soprattutto reduce da uno dei massimi e più assurdi massacri della storia, come la Prima Guerra mondiale.
La camera verde è un film sul culto dei morti e più ancora sul diritto/dovere di ricordarli, perché come dice il protagonista «non possono difendersi». Per qualche aspetto può far venire in mente i Sepolcri foscoliani, ma ancora di più bisogna riconoscere che la personale cappella di Julien Davenne è il monumento ai nostri cari, vicini e lontani, che ci accompagnano per tutta la vita, anche quelli che, come i defunti, vita fisiologica ed anagrafica non hanno più, e quelli che ci hanno dato libri, poesie, musiche che sono parte di noi stessi.
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