Regia di François Truffaut vedi scheda film
Complessa e austera riflessione sulla Morte e sui suoi molteplici significati. Morte come rinuncia alla vita; Morte come culto feticista e necrofilo; Morte come immagine "immortalata" (per l'appunto) in una fotografia (il tema dell'immagine, quindi anche del cinema come espediente per "uccidere" le cose reali o, da un'opposta prospettiva, farle rivivere). Un compendio di diversi binomi della Nouvelle Vague: memoria/oblio; realtà/rappresentazione; individualismo/condivisione; tragedie collettive e drammi privati. La tenuta registica è altissima, anche negli accorati risvolti melo della parte finale; la densità simbolica di fatti e personaggi non inaridisce la sostanza dell'opera e non ne compromette la trasparenza interpretativa. Il difetto della pellicola va forse reperito in alcuni tratti della sceneggiatura: il personaggio di Messigny (l'ex-amico donnaiolo del protagonista), che compare solo da morto nelle foto commemorative e che pur svolge un ruolo-chiave nella struttura drammaturgica, risulta un po' sfuggente; mentre il personaggio del bambino accudito dal protagosita (auto-citazione dal Ragazzo Selvaggio) pare un po' fine a sè stesso. Ma a parte questo, resta un'opera da vedere, per la capacità di riflettere con tanta lucidità quanta emotività su quella tematica universale che parte dall'elaborazione del lutto e finisce per interrogarsi sul significato della vita.
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