Regia di François Truffaut vedi scheda film
La follia del protagonista della Camera verde è totale. E questo ne dimostra la sincerità e l'ingenuità; la lucidità nel vantarsi di valori discutibili e nell'ostentare le proprie fissazioni preoccupanti è esattamente folle. E questo non è un folle per cui parteggiare, decisamente. Eppure quella di Truffaut, che si assume (caso raro e dal risultato fortunato) pure la responsabilità dell'interpretazione, è una descrizione delicata, mai invadente o grossolana, che rispetta un personaggio che evidentemente molto piaceva al regista francese. Il valore della memoria non va dato per scontato, mentre il dovere del lutto è già più una questione soggettiva; in questo senso la frase rivelatrice è quella della ragazza che rinfaccia al protagonista di amare i morti 'contro' i vivi. Questa è la malattia, la deviazione di cui soffre il protagonista: una necrofilia sottilissima, elaborata, nostalgica. Ciò significa altrettanto un reale disprezzo per la vita, in particolare per la propria. E' così che, quando la morte arriva, l'uomo vi si abbandona. Certo è un film un po' pesantuccio e dalle tematiche forti, ma mai riduttivo su un argomento tanto sconfinato e facile allo stereotipo.
Un giornalista rimane vedovo ed il valore immenso che attribuisce alla memoria non gli permette di superare il lutto. Costruisce così una piccola cappella in memoria della moglie e di tutti coloro la cui scomparsa lo ha segnato. Nemmeno una nuova relazione con una ragazza dalle manie simili alle sue lo aiuterà.
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