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La camera verde

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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La recensione su La camera verde

di Baliverna
6 stelle

Egli vive solo per dare culto idolatrico alla moglie defunta, e non vuole saperne di nulla e di nessun altro(-a).

È un film cupo e intriso di morte, come il suo personaggio protagonista.

Egli – interpretato dal regista – è l'incarnazione dell'ostinazione oltre ogni buon senso. Il suo attaccamento per la moglie defunta da diversi anni, e il suo rifiuto di accettare la sua morte e voltare pagina, non sono frutto di un amore sano e neppure di un attaccamento psicologico. Sono una vera ossessione, dalla quale non sente alcun bisogno di liberarsi. Anzi, considera come un tradimento di lei e di se stesso ogni incrinatura in questa sua dedizione assoluta. La cappella che fa risistemare e dedicare alla defunta (e agli altri suoi estinti in secondo luogo) è, di fatto, un tempio per il suo culto idolatrico, per la religione che si è fabbricato. Da dove tragga origine un simile fanatismo non è spiegato, e neppure è facile arguire. Egli è una di quelle persone che sembrano normali, ma che poi un evento infausto sveglia una vena torbida nascosta dentro di esse, che fino ad allora era stata latente.

Nella sua follia non vede l'ancora di salvezza rappresentata dalla donna che unica lo capisce e che si innamora di lui. Non ci pensa neppure ad abbandonare la sua ossessione.

La pellicola è tratta da alcuni racconti di Henry James, scrittore caro al cinema, che io comunque non ho letto. Ma pare che Truffaut volesse con essa esprimere suoi problemi interiori simili a quelli del protagonista. A proposito, il regista si conferma come un bravo attore, il che ne fa un talento a tutto tondo. Tuttavia, questo suo film non è tra i suoi migliori. Certi passaggi e personaggi sono un po' frettolosi, come il bambino sordomuto e il suo disagio. E poi, l'aria di morte e di disperazione che vi si respira è molto spessa, e tende ad incupire anche lo spettatore. Credo che gli esterni – fatta eccezione per un cimitero invaso dall'edera – manchino non solo per semplificare l'ambientazione d'epoca. Penso infatti che Truffaut abbia voluto avvolgere lo spettatore in ambienti angusti, polverosi e chiusi di proposito. L'animo del protagonista è molto simile ad essi, fatto di stanzette e corridoi senza un pertugio per guardare fuori. Persino l'ufficio dove lavora è sistemato in una mansarda dal soffitto basso, e c'è appena lo spazio per muovercisi dentro.

Da guardare, secondo me, per interesse filologico più che per piacere, e da evitare se siamo già giù di morale.

 

 

 

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