Regia di Lino Capolicchio vedi scheda film
Apparentemente, la vicenda di Matilde Manzoni, figlia di Alessandro (che si disinteressò sempre di lei e la affidò all’altra figlia), non è una di quelle di cui si dice: dovrebbero farne un film. La sua breve esistenza di tisica si consumò nel desiderio non ricambiato di amore paterno, del quale fanno fede alcune lettere e un diario che copre pochi mesi. A cogliere gli elementi paradossalmente “leopardiani” del personaggio è stato Cesare Garboli, che curò qualche anno fa l’edizione del “Journal”. Capolicchio trascura invece il rapporto tra Matilde e il padre, e si concentra su una storia d’amore con un ingegnere donnaiolo, sullo sfondo di Curtatone e Montanara. Il modello dovrebbe essere “Adele H.”, ma le vicende di Matilde non hanno nulla dell’amour fou che segnava il destino della figlia di Victor Hugo secondo Truffaut. Il film poi, pur diretto con una certa eleganza, sconta una direzione degli attori scombinata (curiosa da parte di un regista che è anzitutto attore). Specie nei ruoli di contorno: Barberini seduttore con i favoriti è implausibile, la Cléry civetta monotonamente, la Betti fa il suo numero solito nelle vesti di Teresa Stampa. Curiosità in colonna sonora, partiture usate di Piovani e Crivelli (“Il principe di Homburg”, “Dolce far niente”).
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