Regia di Yilmaz Atadeniz vedi scheda film
Uno dei dieci films da portare nella classica isola deserta (e anche, a detta di alcuni "talebani del brutto" da vedere durante il relativo tragitto in aereo!).
Eletto all’unanimità da parte dei cinebruttari come uno dei dieci “capolavori al contrario” da portarsi nella classica isola deserta o da vedere assolutamente prima di passare a miglior vita, questo “Invincibile Batman”, (“Yilmayan Seytan” nella dizione originale), costituisce uno dei rari esempi di cinema turco circolati sui nostri schermi.
Una cinematografia forse unica al mondo che ha avuto il coraggio di realizzare spudorati “rip-off” in versione poverissima di noti blockbusters americani (“L’esorcista”, “Lo squalo”, “Rambo”, “Guerre stellari” e via discorrendo), molti dei quali interpretati dalla star locale Cuneyt Arkin, senza ovviamente scucire manco una lira turca di diritti d’autore e lasciando cadere nel vuoto ogni eventuale accusa di plagio per ovvia mancanza di fondi!!!
Una trama mutuata dai più dozzinali spy-movies all’amatriciana prevede il classico professorone (con tanto di figliuola al suo seguito), corteggiato dalle maggiori superpotenze per aver progettato un dispositivo capace di dirottare gli aerei. Il marchingegno in questione fa gola purtroppo anche al perfido Dottor Diabolikus, capo di un'organizzazione criminale; questi farà rapire infatti dai suoi sgherri il nostro professorone unitamente a un altro scienziato, inventore, a sua volta, di un non meglio identificato “supermetallo”. Per liberare i due cervelloni e salvare ordunque l’intera umanità, i servizi segreti turchi decidono di affidarsi all’agente Tekin, in grado di trasformarsi nelle sue missioni contro i cattivi, in uno dei più improbabili supereroi della storia del cinema nominato “Testa di bronzo” (sic!). Questi avrebbe infatti ereditato dal defunto padre, anch’egli paladino della giustizia e ucciso fra l’altro proprio da Diabolikus, una sgargiante e ridicola maschera, visibilmente debitrice di quelle indossate da “El Santo”, in grado di conferirgli i superpoteri all’uopo necessari.
Non avendo una specifica cultura della settima arte ottomana, nè tantomeno adeguata padronanza della lingua, con quel malessere che la cosiddetta “Sindrome di Stendhal” affligge alcuni individui davanti a opere d’arte di particolare bellezza (in questo caso di “bellezza al contrario”), mi accingo dunque ad affastellare con occhio nudo e crudo le impressioni e le sensazioni in me suscitate da cotanto capolavoro.
Superati i titoli di testa dove svettano improbabili nomi italiani, come la fotografia affidata a certo Sergio Comotti (sic!!), (i turchi che si danno pseudonimi italiani sono davvero qualcosa di incredibile!!) il tal regista Yilmaz Atadeniz ci trasporta volenti o nolenti nel suo universo filmico.
Accompagnati da una colonna sonora che passa con estrema disinvoltura da Tchaikovsky a un riciclo di Continiello e Micalizzi, sino ad arrivare, per pochi secondi, anche al tema di “Città Violenta” di Ennio Morricone, assistiamo increduli e sbigottiti alle seguenti e impareggiabili perle di trash: deliranti e fintissime scazzottate accelerate alla maniera delle comiche di Ridolini; uccisioni ultraridicole in “pure turkish style” (vedasi il killer che lancia un coltello di fronte a un povero vegliardo che viene subito dopo inquadrato con la lama conficcata nella schiena!!!); montaggio scriteriato; effetti speciali penosi; uso “deformante” del cinemascope inaugurando una tecnica che sarà fatta propria anche dal “grande” Godfrey Ho per i suoi deprimenti ninja movies della seconda metà degli anni ottanta; interpretazioni e caratterizzazioni indegne della peggior recita da bambini dell’asilo. Il tutto corroborato da un doppiaggio iperdemenziale curato, ci scommetterei l’anima, da Renato Polselli, autentico nume tutelare del “brutto” cinematografico.
In un tale clima di follia e in un plot narrativo talmente farneticante da risultare a tratti quasi incomprensibile, la “raffinata” regia del nostro “Ed Wood di quel del Bosforo” decide di piazzare come assistente del nostro supereroe un figuro che si fa chiamare “Malridotto” nella versione italiana (e qui naturalmente vi voglio tutti a ridere a crepapelle!!!) e che dovrebbe assicurare la parte comica (si fa per dire) del film, secondo un’usanza del cinema di genere turco, almeno stando alle affermazioni dei cultori della materia. Clone povero del nostro Enzo Monteduro, fra l’altro doppiato dal mitico Nino Scardina, che spesso e volentieri diede la voce al compianto caratterista salentino, declama agghindato alla Sherlock Holmes idiozie e insensatezze ogni volta che compare sullo schermo. Nel continuo attribuirsi meriti che non ha nell’aiutare Tekin a risolvere l’intricata vicenda, si professa inoltre ammiratore di Paolo Rossi e tifoso della Roma (ehh???!!!). Lasciando da parte l’assurdità delle battute, tutto mi lascia pensare che la pellicola, datata 1972, sia circolata da noi almeno due lustri più tardi, in concomitanza cioè con la vittoria ai Mondiali di Spagna della nostra Nazionale di calcio e con lo scudetto della formazione giallorossa.
Se sulla parte volutamente comica non si può che stendere un velo pietoso, è piuttosto il robot d’acciaio al servizio di Diabolikus ad assicurarci una valanga di crasse risate ancorchè involontarie. Trattasi infatti di una comparsa ricoperta di carta stagnola con un parallelepipedo di latta come testa e con alcune lucine colorate da presepe al posto dei denti di cui non ricordo se si accendano o meno! Al posto delle braccia troviamo due tubi flessibili da stufa recuperati con tutta probabilità da qualche rottamaio della periferia di Istambul.
Altro personaggio che ampiamente travalica ogni limite della credibilità è senz’altro il temibile Dottor Diabolikus, un omaccione dagli improbabili e svolazzanti mustacci e con un look a metà fra Stalin, Fu Manchu e l’orco di Pollicino. Perfidamente sghignazzante come ogni cattivo che si rispetti, è sempre accompagnato dai suoi sgherri da lui chiamati scimmie (sic!). Di questi anelli di congiunzione tra l’uomo e la bestia, tanto ricercati e mai trovati da Charles Darwin, svetta infatti un indimenticabile generico dalla faccia interamente coperta da barba (fronte compresa) e al cui cospetto persino il nostro Salvatore Baccaro sembrerebbe Alain Delon. Ciò senza tralasciare il mustacciuto lanciatore di stelline ninja che nel finale riceverà da “Testa di Bronzo” una stellata a dividergli in due la fronte in una scena discretamente gore.
Per satollare tutti i palati, assistiamo anche a una scena erotica che vede protagonista il nostro supereroe innamoratissimo della figlia del professore ma che trova modo di spassarsela anche con la segretaria, che si scoprirà collusa con il Dottor Diabolikus. Al termine dell’amplesso, in un impeto di demenzialità polselliana, non troverà di meglio da dire, fumandosi una sigaretta e con i lunghi capelli che le ricoprono i capezzoli, di esser speranzosa delle prospettive che le si aprono (cosa???), senza peraltro specificarci quali!!!
Nel finale di raro delirio, il buon Malridotto si farà assurdamente trasportare sulla testa di Tekin cranio su cranio per leggere il quotidiano al contrario (ehh??), agitando i piedi per aria come fosse una statuetta del kamasutra vivente, a degna conclusione di un film la cui visione è stata a buon diritto consigliata per trascorrere la quarantena!!
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