Regia di François Ozon vedi scheda film
La moglie, la suocera, la cognata, la sorella, due figlie, la cameriera-amante e la governante: chi è l’assassina? Le otto donne del titolo sono sole, in una casa isolata, intorno al cadavere di un uomo che aveva legami con ognuna di loro. Ben presto tra di loro si scatena un gioco al massacro, ma soprattutto si innescano una serie di legami e attrazioni pericolosissime. Il tutto scandito da una incantevole colonna sonora di canzoni francesi, da Sylvie Vartan a Dalida (una per ogni attrice). Il gioco di Ozon è raffinatissimo e ipercinefilo: alle spalle, c’è il progetto abortito di un remake di “Donne” di Cukor (capolavoro in cui gli uomini, come qui, erano sempre assenti ed evocati dai discorsi delle loro donne), poi trasformatosi nell’adattamento di un testo teatrale di Robert Thomas. Ma alla lunga il tutto, pur godibile, gira un po’ a vuoto; la misoginia e il gioco di generi cinematografici, generi sessuali e classi sociali è lambiccato (si pensi al contrario all’intensità di un altro calco di mélo, “Far from Heaven” di Haynes, o anche al meta-Fassbinder di “Gocce d’acqua su pietre roventi”, il penultimo film di Ozon). Le interpreti giocano in souplesse e alla fine chi rimane in mente è la novantenne Danielle Darrieux, musa di Ophuls cui viene affidata la chiusa con “Il n’y a pas d’amours heureux” (Aragon-Brassens).
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