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La locanda della felicità

Regia di Zhang Yimou vedi scheda film

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La recensione su La locanda della felicità

di FilmTv Rivista
6 stelle

L’ambientazione contemporanea delle storie impoverisce la tenuta narrativa e il fascino di molto cinema orientale e di quello cinese in particolare. Il costume aiuta il contenuto ad ingannare gli occhi e la forma appare più pregiata di quanto sia nella sostanza. Una delle prerogative delle varie stagioni del cinema di Pechino e dintorni è quella di metabolizzare e descrivere, attraverso i film, i conflitti epocali, culturali, economici e ideologici della società. È uno dei sottotesti più ricorrenti e più fecondi, almeno per un approccio sociologico, in cui l’assestamento di nuovi valori, l’erosione o il terremoto di vecchie gerarchie, classi e visioni del mondo sono esplicitati metaforicamente o con un’impronta realistica. Con la fiaba metropolitana (la cosa più apprezzabile è il soggetto) sulla vecchia generazione e sui nuovi giovani, non più figli di una delle cicliche rivoluzioni maoiste o postmaoiste ma di un singolare neocapitalismo socialista, Zhang Yimou gira un film abbastanza tradizionale, con alcuni spunti allegorici. Il regista spiega soprattutto agli spettatori occidentali il caos materiale e morale di una Cina che ha le disillusioni di un uomo che crede negli annunci per cuori solitari e in una libera economia arrangiata e le illusioni di una giovane cieca. Due soldi di speranza in un mondo che non vede più.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 0 del 2002

Autore: Enrico Magrelli

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