Regia di Roberto Benigni vedi scheda film
Dopo Francesco Nuti (OcchioPinocchio), un altro autore toscano inciampa nel celebre romanzo per ragazzi di Collodi. Dove Nuti aveva voluto modernizzare la fiaba, tanto da non renderla quasi riconoscibile (ma assai noiosa) se non fosse per il titolo, Benigni resta fedele al testo collodiano, sfrondandolo qua e là, allo scopo di accentuare proprio l'aspetto fiabesco in esso contenuto.
Si rimpiange, quindi, da un lato l'aspetto popolaresco e realistico del Pinocchio di Collodi (la fame, il freddo, i proverbi eccetera), messo bene in evidenza dalla miniserie televisiva diretta da Comencini all'inizio degli anni Settanta, e dall'altro l'anarchia del Benigni dei primi tempi e delle prestazioni estemporanee.
In qualche momento il Benigni attore aderisce al personaggio piuttosto bene, mentre in altri frangenti si stenta a riconoscere il burattino in questo cinquantenne dal tono troppo lagnoso, mentre lascia davvero esterrefatti la prestazione della Braschi, la fatina più rinvecchiornita che si sia mai vista sugli schermi cinematografici.
Scontata l'incapacità di servirsi almeno delle tecnologie impossibili da immaginare ai tempi del Pinocchio di Comencini, si assiste al film peggiore di Roberto Benigni che, come ha scritto Mereghetti, sì è autonominato erede di Fellini, nonché interprete della magia del quotidiano sul territorio italiano. E non è un buon servizio fornito all'opera letteraria, cosa che invece è riuscita al comico toscano, con tutte le riserve del caso (e anche qui con una generale e generosa sopravvalutazione), con l'opera di Dante.
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