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The Dangerous Lives of Altar Boys

Regia di Peter Care vedi scheda film

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La recensione su The Dangerous Lives of Altar Boys

di scapigliato
8 stelle

Un titolo, un programma. Il film diretto dallo specialista di video musicali, Peter Care, racconta sì la pericolosità, la vita, e gli Altar Boys, ma lo fa con un’idea visiva leggerissima, quasi sospesa tra le due dimensioni in conflitto: quella della vita reale, e quella del mondo a fumetti, sognato e ambito dai due ragazzini protagonisti. Un titolo che quindi programma fin da subito il timer della tragedia, per la serie “quando l’adolescenza diventa epica”, con una bellissima intro che già ci dice tutto se non quasi dei due giovani attori protagonisti. Uno è Emile Hirsch, al suo primo ruolo cinematografico dopo tanta televisione; il secondo è il fratello meno celebre del biondino che perdeva gli aerei oltre alla famiglia, Kieran Culkin. Il primo è quanto di più speranzoso abbia partorito il cinema Usa nel nuovo millennio. Attore solido, un “nano gigantesco”, Emile Hirsch, e lo confermerà più avanti, già mostra la capacità fisica di essere il personaggio senza fronzoli intimistici. Il gesto, il corpo, la fisicità. Parole che fanno di un semplice personaggio un mito, un’icona, una figurazione epica. Kieran Culkin invece, nei panni del personaggio più bello del film, si deve essere divertito un mondo a dare corpo all’inquietudine sincera, quella bella, quella sorridente, quella del disagio colorato, brillante, costruttivo. Un personaggio, il suo Tim Sullivan, che ruba la scena al già bravo Emile Hirsch. Ma va detto che a volte sono proprio i personaggi a fare grande un attore, e non viceversa. Fatto sta che i due si sfidano sullo stesso territorio, quello di ammiccare allo spettatore, di rosolarselo per bene, di piacergli a tutti i costi. E ci riescono entrambi, anche se su due concetti diversi, anche opposti. Il passaggio implacabile tra l’infanzia e l’adolescenza è vissuto dai due personaggi come una sfida inconsapevole al mondo dei padri, e forse pure al mondo dei figli. É una ribellione proiettata nel futuro, la loro, fatta di idee e di progetti immortali come appunto le traduzioni disegnate del loro antagonismo: l’arte si eternizza, e si perpetua, e dirà sempre quello che deve dire. I chierichetti della scuola cattolica, gli “altar boys” del titolo, lo sanno bene, e ognuno a modo suo praticano la diversità. Emile Hirsch si innamora, s’incazza, riflette, pesa gli eventi che la vita gli offre. Kieran Culkin sfotte l’autorità, la sfida, la mette in scacco e la svela per quella che è, ma non riesce a misurare, non riesce a prendere la distanza tra l’idea e il gesto, e il mondo lo rifiuta e lo cancella per mano di un animale emblema, il coguaro che è simbolo di un paese intero, animalità ancestrale per eccellenza della terra che gli altar boys calpestano da quando sono nati. Direzioni diverse, ma tutte riconfluenti là, dove ci si gioca la partita più difficile, quella per salvare la propria individualità dalla spersonalizzazione del sistema; quella per salvare la verità dalla menzogna; quella per salvare la propria emancipazione dall’autorità. Che il segno negativo del mondo cattolico, la cui morale impositiva ha creato un sacco di mostri (e a scrivere è un cattolico), sia stato raffigurato leggero e lievemente frustrato nella realtà fittizia del film per apparire poi crudele e malvagio e persino orrorifico nella dimensione fumettistica del mondo immaginato, è un chiaro tentativo di dimostrare, anche con disgusto, come l’integralismo del pensiero di Santa Madre Chiesa Vaticana abbia patteggiato col diavolo in tempi non sospetti, e invece di preferire l’insegnamento “primitivo” e vero di Gesù Cristo morto in croce, abbia scelto la strada del potere, della gerarchia, del clientelismo, dell’imposizione, della repressione, della disciplina e dell’inquisizione. Non c’è secondo in tutto il film in cui non facciamo il tifo per quei due giovani ribelli che combattono contro le forze del male tra la scoperta del sesso, una cannina e una sana bevuta tra amici. C’è chi come me ha avuto a suo tempo i suoi “The Goonies” e “Stand By Me”, e c’è chi ha avuto il suo “The Dangerous Lifes of Altar Boys”. E c’è chi, sempre come me, gli ha avuti tutti e tre.

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