Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Tre ragazze e tre ragazzi su un ponte di una desolata città norvegese. Nessuno attorno, il fiume placido trenta metri più giù. Uno dei ragazzi scavalca la recinzione e fa per buttarsi, quando passa un vecchietto che lo ammonisce fermamente: due anni fa un giovane è morto buttandosi esattamente da quel punto.
Questo corto della durata di otto minuti e mezzo si situa, all'interno della filmografia di Ruben Ostlund, tra The guitar mongoloid (2004), il suo esordio nel lungometraggio, e il successivo Involuntary (2008). Lo stile è quello già caro al regista norvegese: realismo assoluto, riprese in esterni senza troppi abbellimenti, inquadrature fisse prolungate e dialoghi sostanzialmente veristi, che non concedono più di tanto allo spettatore. Si intuisce in breve che un ragazzo sta per gettarsi dal ponte nel fiume sottostante, anche se non è chiaro il motivo del gesto; sembrerebbe una goliardata e in effetti i successivi sviluppi della storia lo potrebbero confermare. La voce della coscienza è quella che appartiene nel film al vecchietto di passaggio, grillo parlante della situazione, inopportuno e sgradito ma in fin dei conti saggio. Il nostro eroe lo ascolterà o farà di testa sua? In Autobiographical scene number 6882 non c'è altro. Ma l'inquietudine sottotraccia è ben assestata. 6/10.
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