Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film
Preceduto dalle tiepide recensioni dei giornali francesi, addirittura accusato di revisionismo da qualche idiota, “Laissez-Passer” è il tipico film al quale si perdonano anche i difetti. In quasi tre ore di racconto, infatti, il regista Bertrand Tavernier cerca di condensare biografie, aneddoti, volti, sofferenze e compromessi degli uomini e delle donne che vissero a Parigi i difficili anni dell’occupazione nazista. Al centro dell’attenzione la Continental, casa di produzione cinematografica gestita da Alfred Greven su incarico di Goebbels. Lo sceneggiatore Jean Aurenche (che Truffaut e i giovani turchi, qualche anno dopo, inseriranno tra le “canaglie” del vecchio cinema da abbattere) fa di tutto per non essere fagocitato dal sistema paratedesco, mentre l’aiuto regista Jean-Devaivre si fa assumere ma poi lavora segretamente per la Resistenza. Due personalità, due modi diversi di sopravvivere a una situazione a dir poco allucinante: chi si dissociava apertamente, come l’attore Harry Baur, finiva torturato dalla Gestapo, nel migliore dei casi in galera. “Laissez-Passer” non vuole essere un declamatorio pamphlet storico ma un affresco corale che trova nel cinema (come linguaggio) la sua forza. Tavernier mescola dramma e commedia e ci rende partecipi dell’avventura di chi lottava (e lotta) per il bene supremo. La vita, e nient’altro.
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