Regia di Tim Blake Nelson vedi scheda film
Se è vero che Shakespeare è il più grande sceneggiatore di Hollywood, Yago è l’archetipo del villain senza causa su cui si è impostato ogni grande ruolo cinematografico - il Joker di Ledger dopotutto cos’è se non uno Yago dal trucco clownesco?
Le trasposizioni cinematografiche dei drammi scespiriani possono anche lasciare il tempo che trovano, impostate come sono sull’arte teatrale dell’effetto e del gioco scenico di svelazioni, inganni e specchi, ma si prestano benissimo a rivisitazioni anche sul grande schermo. D’altronde il cinema è un grosso specchio con cui giocare a nasconderci e a svelarci continuamente. Così anche Tim Blake Nelson riprende il celebre dramma della gelosia, ne preserva in gran parte anche il testo, e ambienta tutto in un liceo americano dove le gerarchie e i rapporti di forza ricordano i militarismi della vicenda originale. Già questo è un valido esempio di variazione sul mito, tanto caro a noi tematologi, che coglie nel segno la mission di una trasposizione, ovvero modificarla, reinventarla, donarle nuova vita attraverso la rilettura, perpetuando il mito originario.
Se eccede in patetismo è solo perché così è il testo, molto grave e tragico, senza via d’uscita. Tutti conosciamo il vortice di ossessioni e monomanie in cui cade il protagonista Otello - qui ribattezzato Odin, stella nascente del basket - e l’innocenza sacrificale della bella Desdemona, vittima bianca di un gioco meschino condotto da piccoli intriganti. Così anche Roderigo, Cassio, il Doge, e un po’ tutti i comprimari, assolvono pienamente il loro compito di pedine drammatiche di una storia immanovrabile, fuori controllo, com’è quella della tragedia scespiriana. Su tutti, manco farlo apposta, è Yago.
Interpretato dal solido attore fisico Josh Hartnett, il suo Hugo, figlio del coach della squadra di basket del liceo - Martin “Doge” Sheen - è straordinariamente allineato all’idea archetipa del personaggio. Il male fatto solo per il male. Senza motivo, ragione alcuna, se non una poco imprecisata invidia latente, che porta Yago ad architettare questo gioco al massacro per riprendersi un ruolo, quello di capitano, o più in generale quello di figlio dimenticato, che crede spettargli di diritto. L’attore si muove nei panni di Yago con il passo felpato del felino in agguato, saggio e paziente sa che tutto andrà come vuole. Hartnett dosa la recitazione, la misura e ne calibra gesti, pose e movimenti. Non gigioneggia come gli abbiamo visto fare in altre occasioni, dove chiaramente la natura del ruolo imponeva un certo istrionismo, piuttosto riduce e azzera l’impeto tragico e svela sul volto marmoreo tutta la rassegnazione del personaggio, e quindi il suo tragico trionfo. Attore per sottrazione, Hartnett fa del suo Yago uno dei migliori esempi di villain autoriale, pieno di commenti personali, rendendolo pienamente funzionale e indispensabile all’intero film.
E’ un giovane attore solido, poco istrione, molto profondo, alla “Gene Hackman” per intenderci, che guarda caso è il mio maestro ispiratore! Anch’io recitando nella mia compagnia di teatro cerco sempre ruoli di questo tipo, che non sono mai quello che sembrano; ruoli outsider, cattivi, o comunque ragazzi pieni di luci e ombre. Lo stesso fa Josh. Qui si dimostra uno Hugo in bilico tra diversi mondi.
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