Regia di Mario Camerini vedi scheda film
Siamo ancora lontani dai capolavori dell’imminente neorealismo, ma questo film di Mario Camerini regge dignitosamente i suoi 70 anni, pur ricalcando uno stile narrativo e un modo di recitare prossimi al tramonto. Basti pensare alla divisione fin troppo netta tra personaggi positivi e negativi, e al lieto fine, così raro nel genere melodramamatico dell’epoca. Dopo il ventennio fascista e la sciagurata guerra che si è appena conclusa, si avverte da parte del folto gruppo di sceneggiatori – tra i quali lo stesso regista - un’ansia di riscatto, il desiderio di mettere in scena personaggi italiani semplici e coraggiosi, in lotta contro chi per troppi anni si era schierato dalla parte del regime e successivamente dell’occupante tedesco. Andrea Checchi si cala in maniera convincente nel ruolo affidatogli, aggiudicandosi meritatamente il Nastro d'Argento come migliore attore protagonista alla Mostra Cinematografica di Venezia nel 1946. Distante dalla figura dell’eroe virtuoso e tutto d’un pezzo, opta per una recitazione sommessa e penetrante, lontano da ogni retorica. Al suo fianco appare Clara Calamai, vecchia gloria del cinema dei telefoni bianchi e di molteplici film drammatici e d’avventura tutt’altro che indimenticabili. Qui, riesce a prodursi in una prestazione di buon livello e certamente gratificante per la sua immagine. I primi anni del dopoguerra non dovettero essere facili per chi nel cinema aveva lavorato in tempi a dir poco bui. Più di ogni altro aspetto, ciò che rende a tutt’oggi interessante la pellicola è la rappresentazione della Roma dell’epoca, con scenari che non hanno bisogno di ricostruzioni. Certo, siamo lontani dal realismo di “Roma città aperta” o “Sciuscià”, ma gli arredamenti, i costumi, la tipografia in cui s’incentra buona parte del racconto, nonché la schiera di coprotagonisti e comparse possono ancora coinvolgere lo spettatore.
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