Regia di Pedro Costa vedi scheda film
Nella stanza di Vanda non entra il sole. Né, tantomeno, la speranza. La ragazza vive isolata con la sorella, passando il tempo a fumare crack. Intanto, fuori dalle mura della casa, il quartiere periferico di Lisbona in cui vive viene demolito poco alla volta: i suoi abitanti, tutti reietti della società che vivono abusivamente nelle case, sono costretti a spostarsi, in cerca di un nuovo alloggio.
Quello di Pedro Costa è un mondo in rovina. Il regista portoghese – tanto sconosciuto da noi, quanto premiato nei circuiti internazionali - segue le orme di un “giovane” maestro come Tsai Ming-liang, per raccontare l’accidia e la rassegnazione che caratterizzano gli emarginati sociali della metropoli. Senza, però, utilizzare il sottile umorismo che caratterizza i capolavori del regista taiwanese. In Vanda’s room è, infatti, un film claustrofobico, nero, asfissiante. La luce del sole a fatica entra dalle finestre. Le inquadrature strette, immobili, “sezionate”, mettono in evidenza lo “scacco” spaziale dell’uomo nei confronti dell’ambiente che lo circonda (e lo imprigiona). I rumori sono invadenti, assordanti, soprattutto perché contrapposti al silenzio che pervade la desolata periferia. A fare da contrappunto ai suoni delle gru che abbattono il quartire, i colpi di tosse di Vanda – sensorialmente agghiaccianti per lo spettatore -, che simboleggiano un decadimento che diviene, nel personaggio, anche fisico. Inoltre, il film di Costa si “frammenta” in personaggi di contorno, senza focalizzarsi unicamente sul protagonista che dà nome al film: tutti tossicodipententi senza un futuro, di cui, a stento, riusciamo a coglierne i tratti somatici, nella penombra della fotografia di Costa.
No quarto da Vanda si fa erede anche del cinema contemplativo di Sharunas Bartas – in particolare, quello degli esordi -, infrangendo però il “dogma” del maestro lituano, e facendo “parlare” i propri personaggi. Dialoghi, ovviamenete, vuoti, scarni, privi di poesia: incredibilmente veri. Pedro Costa sceglie donne e uomini dalla strada (cui fa utilizzare il proprio nome), e, senza seguire alcuna sceneggiatura, li lascia discorrere senza un canovaccio davanti alla macchina da presa. Un neo-neorealismo, dunque, che si fa inquietante proprio per la sua tragicità assolutamente comune.
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