Regia di Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal, Rachel Szor vedi scheda film
Film di protesta e di nitida militanza che vale di più per il suo farsi che per il modo in cui si presenta.
Filmare come azione di tenacia e di rivalsa, recepita con violenza ma votata alla speranza. Filmati dal presente, ma anche dal passato: quasi sovrapponibili tra di loro, memorie che si intrecciano e confondono. Schivare gli spari, le minacce, il senso di depressione. Andare a scuola (e costruirla) come scelta politica quotidiana. Fondare una nuova casa dopo aver visto annientare la propria (ma è possibile? E come?). Sognare la democrazia, oltre la militarizzazione quotidiana (tra soldati dell'esercito e comuni coloni che imbracciano un fucile) e la (misera) consolazione di qualche like di supporto social da parte di chi non avrà mai la preoccupazione di non sentirsi al sicuro. Essere un israeliano come croce da portare, di nuovo e comunque (perché ci si fa carico delle colpe dei propri infami connazionali al potere). Essere palestinesi come decisione obbligata dalla circostanza ma assunta con responsabilità, per muoversi laddove l'America e l'Europa – che potrebbero far cessare ogni cosa semplicemente alzando un dito – la mano la vogliono tenere in tasca. Basel Adra e Yuval Abraham – registi con Hamdan Ballal e Rachel Szor, in un collettivo formatosi per l'occasione – appaiono dinnanzi alla macchina da presa da amici e sodali, per guidare il pubblico occidentale a entrare nelle ragioni di chi non ha "nessun'altra terra", come denuncia l'eloquente titolo del loro doc (premiato alla Berlinale e poi agli Oscar), se non quella che gli è stata tolta per ordinanza statale e di cui si ritrova suo malgrado a rivendicare la cittadinanza. Ma l'abbattimento coatto delle abitazioni del loro villaggio di appartenenza (Masafer Yatta) è solo il baricentro di un lavoro di perlustrazione su tanti temi della questione mediorientale (con citazione finale di Hamas e delle ultime disposizioni del governo di Benjamin Netanyahu). Film di protesta e di nitida militanza che vale (parecchio) di più per il suo farsi che per il modo in cui si presenta: al di là di una certa qual dispersività mostrativa del materiale, si ode l'eco (l'ennesimo?) di soprusi decennali, la cui disamina e testimonanza può pure apparire ovvia (e perciò pleonastica). Ma forse la questione è davvero tutta qui, fra il ripetersi incessante di una tragedia e il rigenerarsi altrettanto inesausto di un orizzonte cui sforzarsi di guardare, oltre il buio di una grotta e la polvere sabbiosa sollevata dalle ruspe.
Accompagnamento sonoro di Julius Pollux Rothlaender.
Voto: 7 — BUON film
No Other Land (2024): scena
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