Regia di Mimmo Calopresti vedi scheda film
La felicità non costa niente, e detto così sembrerebbe il titolo di un libro di Raffaele Morelli (dio ce ne scampi). Prendete un quarantenne benestante (architetto), mettetelo di fronte ad un trauma (un incidente), fatelo scazzare col mondo a cui fino ad un secondo prima apparteneva (i radical chic), dategli una nuova speranza (un amore nuovo) e relativa tranvata sulla testa (un amore nuovo), lasciate che il vero trauma riaffiori (una morte ingiusta) e… E poi?
A differenza delle precedenti opere (soprattutto Preferisco il rumore del mare), Mimmo Calopresti gira a vuoto, sbatte la testa allo specchio, si ingarbuglia in un narcisismo di seconda mano che ha in Nanni Moretti (ma più lieve) e in Woody Allen (ma meno sarcastico) i propri numi tutelari, ricicla il sempreverde (e sempre rischioso) racconto della crisi dell’intellettuale di sinistra (per quanto mascherato accuratamente: il capolavoro del genere è l’intimista e sofferto Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini) attualizzato all’epoca contemporanea ma con un’ideologia pseudo-marxista di ritorno.
Insomma, la frittata stavolta s’è bruciata in padella e non bastano alcuni inserti interessanti (l’intervento di Luisa De Santis o dei genitori) e una seconda parte discreta (quando entra in campo Francesca Neri e fa un saluto giusto per due scene l’immensa Laura Betti) a risollevare le sorti di un film pretenzioso e noioso. La festa a casa di Valeria Bruni Tedeschi e Vincent Perez, con le chiacchiere frivole e i discorsi vuoti, è deprimente quanto autoreferenziale ed ipocrita. Tuttavia, lodi agli Avion Travel e al loro Piccolo Tormento.
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