Regia di Mimmo Calopresti vedi scheda film
E’ imbarazzante questo film. Si interroga sulla solitudine, la sincerità dei rapporti, il distacco dalle cose, l’essere se stessi, la possibilità di essere felici. Temi che non si affrontano con gli amici in pizzeria, o con il collega di scrivania e nemmeno con la persona che abbiamo scelto al nostro fianco. Riservati, tutt’al più, alle sedute terapeutiche o ai colloqui intimi con l’amico/a del cuore.
“Ho paura di morire”, “La solitudine interna fa schifo”, “Ho sempre voglia di piangere”, “Non ho bisogno di tutte queste cose”. E’ una persona normale, forse anche invidiabile (architetto affermato, soldi, bella moglie, bella amante), quella che arriva a dire queste cose. Ma gli ci vogliono due batoste, un incidente d’auto e la morte di un operaio. Dopodiché spiazza tutti, oltre che se stesso.
Il suo annaspare, la sua ricerca, la sua depressione – che sembrano momentaneamente risolversi con l’incontro di una donna - saranno conclusi da un altro evento traumatico, e la via di uscita rimarrà ambiguamente sospesa tra un felice cambiamento e la serena accettazione di quel “piccolo tormento” che la vita è (come canta la voce di Beppe Servillo).
Se il film imbarazza, senza arrivare a infastidire, è perché è sincero e generoso: la nudità d’animo, il coraggio spudorato dei propri sentimenti non sfocia mai nell’autocompiacimento.
Se è “buono” anziché “bellissimo”, è perché le sbavature e le insistenze ci sono, perché la bravura dell’attore Calopresti non eguaglia la passione del regista Calopresti, perché racconta situazioni, “une tranche de vie”, e non una storia compiuta. Ma non per questo merita risatine e fischi mosci a fine visione.
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