Presentato in anteprima al 70 Taormina Film Festival ‘Touch’ è un delicato racconto incastonato tra oriente e occidente.

Nostalgia. Memoria amore. Demenza senile

Giappone e Islanda, entrambi paesi toccati dalla fragilità di un vulcano, come lo è la Sicilia che li ospita a Taormina, sorprende per poesia e multistraticità di temi e riflessioni.

Kodokoushi(letteralmente “morte solitaria”) è un interessante termine giapponese – cioè la paura di morire in solitudine.

E’ inoltre un grave fenomeno in aumento nel Paese del Sol Levante dove le famiglie muoiono in solitudine, anche per le difficoltà economiche e per l’onta di farle vedere.

Il Kodokoushi però è anche uno dei motori che spinge il protagonista anziano a ricercare l’amore della sua vita proprio in Giappone.

Caso vuole che l’adorato amore, una volta ritrovata, stesse proprio appena uscita dall’ospedale per Covid, a casa sola e malata.

Il film del regista islandese gira su tre universi diversi, ma incrociati. Londra. L’Islanda e il Giappone. L’amore è il pivot che unisce i popoli e le usanze ed è arricchito dalla vicinanza a poesia, haiku, cibo, persone.

‘Il touch’ è appunto quel gesto delicato che accarezza le anime degli altri.

Il film è commovente e savio, equilibrato e amorevole, ricco di un’epoca che sembra ormai andata. Nostalgica. Come la memoria del protagonista.

Girato poi in epoca Covid, esprime e ricorda tutte le difficoltà i dolori subiti dalle perdite dei cari.

Ed è proprio questo aspetto, oltre alla diagnosi di Parkinson imminente, a spingere il protagonista a muoversi nel non dimenticare. Andare a ricercare ciò che lo aveva fatto felice più di tutto: l’amore.

Ritrovare ciò che potrebbe perdere definitivamente con la morte. Il tempo è breve e anche il covid ha fatto riscoprire a tutti la potenza della vita e quanto essa vada vissuta nell’imminente.

Il film è quindi ricco di sfumature, e letture. Diventa come una cipolla dai tanti strati che mano mano vanno sfogliati per scoprirne la profondità, la verità.

Un’altro tema originale, poco affrontato nel cinema, sono le donne vittime di Hiroshima e la vergogna di essere state esposte a radiazioni.

L’onta che ne deriva, apre tutto un altro capitolo sulla psicologia della malattia e del disastro causato dalla bomba atomica sia sul piano fisico, che spirituale o psicologico.

Le ferite sono indelebili, e come nel caso della protagonista di ‘Touch’ ne hanno inficiato soprattutto la vita emotiva.

Tutti questi interessanti temi l’amore, la guerra, la memoria, la perdita, sono resi attraverso una splendida fotografia, borotalcata.

Ottenuta con lenti speciali, essa è arroccata su nostalgia, dissolvenza, sbiadimento e sfumature, ottenendo con un sapiente uso della luce, spesso fioca, quel senso di ricordo.

O il suo contrario, la sua opacizzazione.

 

 

 

touch

Regia di Baltasar Kormákur

Il cast

Ottimi gli attori e ben diretti tra di essi, il figlio del regista Palmi, osservato con occhio ravvicinato dal padre. Studia arte, ed è stato praticamente costretto ad un ruolo che inizialmente non voleva accettare, ma che fortunatamente ha fatto suo. Ed è perfetto in esso.

Tra gli altri ricordiamo anche l’attore protagonista da anziano, bravissimo Egill Ólafsson, che è perfetto nel ruolo e che poco prima del film ha subito una diagnosi di Parkinson, simile a quella del suo personaggio.

Per cui il regista con un gesto taumaturgico, mescolando realtà e finzione si è servito anche di esperienze reali, come avvenuto col covid.

Gli altri sono. Palmi Kormákur, Kôki, Masahiro Motoki, Yôko Narahashi, Ruth Sheen, Masatoshi Nakamura, Meg Kubota, Tatsuya Tagawa.

‘Touch’: la sinossi.

La storia potente, elegante e sbiadita, come la fotografia borotalcata, catturata con lenti speciali, racconta la storia d’amore tra un giovane islandese, Palmi Kormákur, trasferitosi a Londra per la London Economic School e una ragazza giapponese, il cui padre a seguito della perdita della moglie a Hiroshima, si è trasferito per aprire un ristorante giapponese a Londra.

 

La memoria è un animale strano. Ha a che fare con lo sfaldamento che verso i 50 60 anni inizia a dare i primi sintomi a tutti, con piccoli passi non facendo ricordare nomi o luoghi.

Poi nei casi più gravi finisce in demenza o Alzheimer. E’ una prospettiva che diviene inaspettata.

In Touch ci sono però due sofisticati modi di intendere e parlare di memoria.

Una che è quella della cancellazione (voluta) dei dolori e delle cose brutte della vita, come la guerra ad Hiroshima.

Tentare di eliminare per sopravvivere è una parte interessante dell’atteggiamento del padre della protagonista.

E poi c’è invece la diagnosi. Cioè la paura della perdita fisiologica, legata alla malattia diagnosticata, sia all’attore che al protagonista. Il perdere contatto con la realtà del tutto. Volti, sensazioni, ricordi, persone inquieta.

C’è quindi la memoria nella volontà di rimuovere e non voler pensare al passato, ai dolori. E c’è l’altra. Quella che ti viene portata via anche se non vuoi.

 

 

Mi piace ricordare, dice infine il regista, citando Krzysztof Kie?lowski,

I am not young enough to change the world, but I am trying to have a dialogue with it 

TOUCH è basato sul romanzo Snerting, di Ólafur Jóhann Ólafsson’s, uscito nel 2020 e con grande successo sia di pubblico che di critica diventando il bestseller dell’anno