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Made in England: I film di Powell e Pressburger

Regia di David Hinton vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Made in England: I film di Powell e Pressburger

di yume
10 stelle

Un tributo d'onore a due grandi del Cinema del passato fatto da un grande del presente

Martin Scorsese

Made in England: The Films of Powell and Pressburger (2024): Martin Scorsese

 Clip e rari filmati d’archivio, interviste, backstage, spezzoni di film, una miniera d’immagini per raccontare il genio, la forza visionaria e l’amicizia sconfinata di una coppia famosa che ha scritto la storia del cinema: Michael Powell e Emeric Pressburger.

E’ il racconto personale di Martin Scorsese su due dei più grandi autori del cinema inglese, produttori, sceneggiatori e registi di classici dell’età dell’oro del cinema britannico, un atto d’amore per due maestri da cui si è sempre fatto influenzare nei suoi film.

Scarpette rosse, Narciso nero, Scala al paradiso, Duello a Berlino, capolavoridi due uomini, dice Scorsese, “Grandiosi, poetici, saggi, avventurosi, testardi, rapiti dalla bellezza, profondamente romantici e completamente senza compromessi

Lo straordinario excursus, scritto e raccontato da Martin Scorsese e diretto da David Hinton, presentato in anteprima mondiale nella sezione Berlinale Special del Festival di Berlino 2024, ci ricorda le parole di Thelma Schoonmaker su Michael Powell: “Mi ha chiesto di mettere 'regista e ottimista' sulla sua lapide. Cosa che ho fatto”.

Compaiono a tratti foto della famiglia Scorsese, foto degli anni quaranta un po’gialline, Martin da solo, bambino, sull’enorme poltrona che guarda la tele o con il padre che lo porta al cinema in quelle immense sale in palazzi bellissimi: “Schermi giganteschi che ti riempivano di speranza e aspettative di meraviglia. E la prima meraviglia fu Scarpette rosse”.

Martin Scorsese

Gangs of New York (2002): Martin Scorsese

Scorsese inizia raccontando di sé, a New York, 1945, tre anni ed è colpito dall’asma.  Costretto a casa, niente sport e giochi con i compagni, guarda film a non finire in TV, uno di quegli scatoloni a 16 pollici in bianco e nero di allora, ed è folgorato da The Thief Of Baghdad, un film su cui Michael Powell aveva lavorato per Alexander Korda (London Pictures).

Il ladro di Baghdad, spettacolare fantasy del 1940, catturò l’immaginazione del giovane Scorsese che da allora non smise più di amare Powell e il suo sceneggiatore Pressburger.

Thelma Schoonmaker, storica montatrice dei film di Scorsese che aveva sposato Powell dopo il suo arrivo in America negli anni ’70, ricorda come il regista italo-americano salvò il marito bandito dall'industria cinematografica dopo il suo progetto solista del 1960, Peeping Tom.

Powell, nonostante il suo fulgido passato di grande regista “sperimentale nel sistema” (così lo definisce Scorsese), viveva da anni in povertà e oscurità in un cottage della campagna inglese.

Nell’incontro con Scorsese fu parco di parole, quasi schivo, ma si commosse. Dopo un lungo scambio di messaggi accettò di andare a Hollywood.

Ora Scorsese, seduto in platea, racconta la lunga storia dei due cineasti legati da un’amicizia simbiotica che diede vita a film-capolavoro, ma il triste momento seguito alla loro separazione,quando critici e distributori stroncarono Peeping Tom, il capolavoro horror satirico che colpiva  voyeurismo e ipocrisia del mondo del cinema, getta un velo di amarezza sulla ricostruzione di quella vicenda eccezionale.

Arrivato in America, Powell sposò Thelma Schoonmaker, mentre Pressburger, continuò a vivere in Inghilterra in una sostanziale oscurità scrivendo romanzi, uno dei quali fu adattato per il cinema. Di lui ha raccontato il nipote Kevin Macdonald in una biografia.

Il racconto di Scorsese si dipana lungo tutti gli anni della loro vicenda, ma non vuol essere un documentario, piuttosto un ritratto intenso, un florilegio di meraviglie che passa di film in film, la storia di una grande amicizia iniziata il giorno in cui Emeric, illustre sconosciuto, ebreo nato in Ungheria, inviò a Powell una sua sceneggiatura condensata in un rotolino di carta. Fu una folgorazione.

Scorsese ne parla accarezzando i ricordi come preziose reliquie, sottolinea il fantastico potere immaginifico di quelle due menti, l’indipendenza, l’irrinunciabile esigenza di controllo totale del proprio lavoro, così da fondare una propria casa di produzione, la Archers, il logo con frecce che colpiscono il bersaglio tondo.

 

A loro è stato sempre debitore, quel magistero ha segnato il suo cinema, ne ha adottato gli stilemi, e, nel parlarne, indica in cosa ha trovato sintonia, dà chiavi di lettura spesso inedite di quelle storie, ci avvicina a film noti e meno noti con lo sguardo profondo di chi legge nel cinema una parte di sé.

La colonna sonora originale e straordinaria di Adrian Johnston e il sapiente montaggio di Thelma Schoonmaker collaborano alla suggestione, di quei film Scorsese coglie il cuore profondo in poche immagini, 131 minuti non sono molti, eppure racchiudono il nucleo del genio dei due grandi amici.

“La prima volta che vidi Scarpette rosse l’emozione fu così intensa che potrebbe essere una delle  cause della mia ossessione per il cinema” dice il regista che riconosce a quel cinema la formazione del suo “inconscio cinematografico”.

Da giovane studente di cinema era colpito con i compagni dalla compresenza di due nomi nei titoli: “Volevamo sapere chi aveva fatto cosa, chi diceva stop e chi azione, era tutto un mistero. Sulle riviste si parlava dei grandi registi inglesi come Reed o Hitchcock, ma di Powell e Pressburger pochissimo, perciò diventarono creature mitologiche ai nostri occhi”

La Tv di quegli anni trasmetteva spesso film inglesi che avevano ceduto i diritti, perciò la frequenza dei film di Powell -Pressburger era tale da lasciare impressioni incancellabili nel giovane Martin.

locandina

I racconti di Hoffmann (1951): locandina

Ricorda I racconti di Hoffmann, “un film che non s’immaginerebbe possa piacere ad un bambino”.

E’ stato il film da cui ha imparato lo speciale connubio di immagini e musica :

Quel film mi ipnotizzava, lo guardavo a ripetizione” e la scena del duello sulla gondola è quella da lui sempre preferita “fluida, scorrevole, di grande fisicità e del tutto onirica”.

Powell aveva un mantra a cui fu fedele tutta la vita, “l’arte è una”, e dunque nei suoi film tutto entra in  grande sinergia, musica, colori, danza.

Da queste visioni Scorsese ha appreso e creato il suo stile, quella che chiama “teatralità cinematografica” viene da un apprendistato totalizzante, come può esserlo l’impatto del mondo immaginifico e a volte folle dei film di Powell-Pressburger sulla psiche di un giovane.

Powell dimostra che il cinema può essere simile alla follia e se glielo permetti ti può inghiottire”.

Ma c’è altro, la straordinaria capacità di passare da un genere all’altro, dal cupo noir al film in costume, la verve comica di alcuni film e la tenacia nel rincorrere la perfezione formale e le soluzioni tecniche e drammaturgiche a cui affidare messaggi nuovi, inattesi.

Scorsese cita i film di età bellica, quando Londra era sotto le bombe.

Quei bellissimi film erano fuori dagli schemi, compariva perfino un tedesco buono, e questo non piacque a Churchill, “ma l’ Inghilterra è una democrazia e il film si fece”.

locandina

So dove vado (1945): locandina

Finita la guerra si tornò a respirare, in So dove vado c’è la donna nuova del dopoguerra, pratica e determinata, protagonista della sua vita. Frizzante e divertente, si avverte la gioia dei due amici nell’inventare ed Emeric era al massimo, aveva appena sposato l’attrice che impersonava la protagonista, Joan Webster, per cui scrisse la sceneggiatura in due settimane. E poi erano in Scozia, il luogo preferito da Michael. Coraggio, gentilezza e generosità, calore e amicizia sono i valori di questo film e sono quelli in cui loro due credevano, “il secondo capitolo della crociata antimaterialista degli Archers” lo definì Emmeric. Basterebbe una battutadi Joan (siamo in un villaggio sperduto delle Ebridi settentrionali) : “Immagino che la gente di questo posto sia molto povera” “Oh no – ribatte Torquil innamorato di lei che va a sposare il ricco Bellinger ma poi… - solo non hanno soldi” “Ma è la stessa cosa!” fa Joan “No, è molto diverso” chiude Torquil.

E Scorsese aggiunge, candido :”Questo è un film che fai vedere a uno a cui vuoi bene!”.

La magnifica tempesta in cui Torquil salva Joan è metafora dell’amore, “una tempesta che puo scombussolarti completamente  la vita” e al suono delle cornamuse gli dei della natura decidono il loro destino.

Una delle più belle storie d’amore di sempre ed eccezionalmente per i film di Archers con un lieto fine, un poema mistico sulla natura e un sermone sui valori positivi”.

Nel dopoguerra i loro film continuarono a parlare di amore e di valori, bisognava dare al mondo la speranza nel futuro, ma la morte ormai era presente, anche se in fantasticherie surreali, “unico modo per ottenere quell’intensità profonda possibile solo con l’artificio”.

scena

Scala al paradiso (1946): scena

Ai confini della realtà in Scala al Paradiso, Peter(David Niven), benchè abbattuto in un’incursione aerea, ritrova June che lo ama. Liberi dalle costrizioni del realismo, “convinti che il regista sia un mago con la sua valigetta di trucchi” i due autori diedero vita alle loro più sfrenate fantasie e il team di grandi collaboratori trovò soluzioni tecniche spettacolari, soprattutto in tempi così difficili in cui mancava quasi tutto.

Ma bastava pochissimo alla grande intelligenza creativa di quegli uomini, e la prova dell’esistenza dell’amore è affidata ad una cosa piccolissima, una lacrima versata su una rosa.

E l’angelo mandato sulla terra a cercare Peter dal boss del Paradiso non è forse il precursore di Frank Capra e Wim Wenders? Powell-Pressburger hanno  aperto la strada a molti, e Scorsese è stato uno dei tanti.

Scala al Paradiso ebbe un successo stratosferico, le masse si accalcavano nei cinema, la famiglia reale arrivò per la prémière, fu il punto più alto a cui arrivò il loro talento. Ma era il 1946 e le luci cominciarono a spegnersi, non c’era più bisogno di contribuire allo sforzo bellico, Emeric non aveva più la stessa spinta, bisognava decidere cos’altro fare.

locandina

Narciso nero (1947): locandina

Nacque così Narciso nero, e fu un punto di svolta. Il fotografo s’ispirò addirittura a Rembrandt e Vermeer, i colori nel film crearono quasi uno shock fisico collaborando all’intensità dell’emozione.

Un film di suore e una presenza maschile vista come oggetto sessuale; il rosso, quando appare (memorabile il primo piano di Deborah Kerr che si mette il rossetto) è il colore della energia psico sessuale.

Un esercizio espressionista in grande stile “, la Chiesa lo censurò, Powell-Pressburger non avevano mai osato tanto. La sequenza di dieci minuti che Powell chiamava “composizione filmica”, senza parole, “solo la musica guidava l’azione esprimendo pensieri ed azioni in modo più intenso di qualsiasi dialogo” fa dire a Powell: “Non credevo ai miei occhi, da allora girare film fu tutta un’altra cosa”.

Locandina originale

Scarpette rosse (1948): Locandina originale

Infatti l’anno dopo nacque Scarpette rosse e, dice Powell, “lavorammo al balletto come ad una composizione filmica”.

Una ballerina autentica interpretava Vicky Page, e la ricerca non fu facile. Moira Shearer fu la prescelta, capace di recitare benissimo oltre che eccellente ballerina. Il problema fu che non voleva recitare e Powell impiegò un anno a convincerla. Solo aver collocato al centro del film un intero balletto originale la fece decidere, convinta com’era, ahimè, che la danza fosse un’arte più nobile del cinema! Un intero balletto di un quarto d’ora al centro della narrazione era un rischio enorme. Come avrebbe reagito il pubblico? Ma musica, luce, immagini, danza fecero il miracolo, il balletto non era come a teatro ma come era nella testa della ballerina. “Il suo corpo e la sua fisicità espressero la sua vita interiore, utilizzò il movimento fisico per rappresentare il dolore psicologico”.

E’ a questo punto che Scorsese cita il suo Toro scatenato: “ Quando vidi De Niro che si muoveva sul ring capii che si trattava di una danza, di una coreografia, e capii anche che dovevo rimanere sul ring il più a lungo possibile e quindi nella testa del pugile, vedere e sentire dal suo punto di vista”.

 

 

La fine della ballerina in Scarpette rosse dice che la sua passione è la sua condanna, l’arte ti può distruggere, un vero artista non produce arte perché vuole farlo ma perché deve, non è una scelta, è un’ossessione.”

E ancora in Travis di Taxi Driver Scorsese trova vicinanze con i personaggi di Powell, “spesso egocentrici, maniacali, ai margini, sempre sul punto di esplodere”.

Lermontov di Scarpette rosse era uno di questi.

Scorrono a questo punto primi piani di De Niro, Di Caprio, Day Louis e altri, eroi del suo cinema interiore, personaggi ossessivi e torturati come quelli di Scarpette rosse.

Will dance, è la fatale condanna che Lermontov commina a Vicky.

Alla fine vita e arte convergono”, conclude Scorsesegli occhi sbarrati di Moira Shearer quando le scarpette cominciano a controllarla, la sua espressione grottesca, richiama una maschera delle tragedie antiche”.

A questo punto Powell, con un aplomb tutto inglese, alla domanda: “Quanto è importante che un artista muoia per la sua arte?” Risponde sorridendo col suo sorriso volpino: “Perché lo farei anch’io!”.

Purtroppo però era arrivata l’era di burocrati e contabili, il film non piacque e se non fosse stato per gli Americani chissà! A New York fu un successo e divenne il film più famoso degli Archers.

Per Scorseseè il film commerciale più sovversivo della storia”, e detta da lui possiamo crederci!

Dal ’49, amareggiati, i due cambiarono casa di produzione, I ragazzi del retrobottega sono di questi anni, tornarono al bianco e nero, si rifugiarono nella realtà, i personaggi erano tormentati più che mai. Quindi con David Selznick girarono La volpe, racconto sensuale dal libro di Mary Webb, con Jennifer Jones, bravissima, ma moglie di Selznick , estremamente possessivo. Dura la vita sul set fra i due, ma il risultato fu l’ennesimo capolavoro, di stampo gotico, stavolta, che portava stampato l’amore di Powell per la sua terra.

Infine il cinema totale de I racconti di Hoffmann, un tripudio a New York, il cinema puro, la summa delle visioni del grande duo Powell-Pressburger.

C.B.De Mille mandò le sue congratulazioni.

Purtroppo da quel momento i rapporti si incrinarono, equivoci, fraintendimenti, o forse solo perché prima o poi tutto ha una fine. Seguirono strade diverse, ognuna piuttosto inconcludente, niente più somigliò al magico connubio di prima. Quando dopo tre anni tentarono di riprendere la collaborazione nulla era più come prima, bisognava rinunciare alla propria indipendenza, stare ai patti delle case di produzione che mettevano i soldi. Ancora un film, Oh Rosalinda, che disattese le aspettative, poi un film di guerra vecchia maniera, La battaglia del Mar de la Plata, favorito dal nuovo formato panoramico Vista Vision con cui fu girato. Grande spettacolarità e il botteghino fu sbancato (Brigitte Bardot e Marilyn, signora Miller, erano tra il pubblico e, naturalmente, Sua Maestà). Ma niente di nuovo e sorprendente. Un contratto con Rank, altri film, ma ormai non c’era più intesa tra i due.

Una divergenza reciproca alquanto triste -raccontò Powell nessun litigio. Una triste divergenza fra due persone che si volevano bene. Ci chiedono spesso come abbiamo fatto a lavorare insieme per così tanto tempo, diciotto anni. La risposta è una: l’amore. Non si può collaborare con qualcuno senza volergli bene”:

Rimasero sempre buoni amici – conclude Scorsesee nessuno dei due parlò mai male dell’altro”.

Ma non possiamo dimenticare il grande film fatto da Powell senza Emeric, L’occhio che uccide, storia di un pazzo omicida per cui provare una pietà radicale fu la scommessa del regista.

La stampa e la critica furono spietate, “il film scomparve per venti anni e io insieme a lui” dice Powellnon ero più lucrativo, ero indipendente, volevo fare di testa mia”.

Anni ’60, Nouvelle Vague, altri idoli, altre idee, era finito un mondo e si credette di poterlo dimenticare.

Ma dall’altra parte dell’Atlantico io e Coppola guardavamo i suoi film senza alcuna zavorra culturale, non avevamo pregiudizi sull’epoca in cui erano stati girati o sull’accoglienza che avevano ricevuto. Li consideravamo semplicemente bei film e a volte veri e propri capolavori.

Questi due giganti del cinema, dimenticati per vent’anni, ottennero gli onori che meritavano”.

 

L’ultimo onore in ordine di tempo è questo bellissimo ricordo di Scorsese, amico e fedele discepolo che lascia a noi tutti il desiderio di rivedere quei film e goderne come lui.

 

*i testi virgolettati sono di Scorsese. Quelli di Powell e Pressburger sono indicati a margine

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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