Regia di Parker Finn vedi scheda film
Quello che l’horror dovrebbe essere: non mero effetto ma causa profonda, la protesi di un trauma (in questo caso l’incidente, che accompagna la protagonista per tutto il film e sa farsi trauma vero, ricorrente e ingombrante), di un malessere radicato, di una condizione della psiche.
Il malessere è quello del divismo che divora tutto, fautore di un’isteria nevrotica che tanto ha di contemporaneo e alla quale v’è la sola conseguenza della solitudine.
L’appartamento di Skye (principale spazio ambientale del film) parla, comunica un’algida freddezza deluxe profondamente sinistra e angosciante nella quale la protagonista è reclusa, lontana da vere relazioni sociali (laddove infatti recuperare i rapporti con un’amica/amante lontana nel tempo diventa di vitale importanza), dal contatto con l’altro all’infuori delle esigenze del business. Ma c’è anche lo spettro costante di una madre opprimente, che millanta a parole i sacrifici fatti per la figlia ma nel concreto manipola sottilmente i dettagli della sua carriera.
Terrore autentico (al netto dei tanti jump scare, comunque raramente gratuiti), con alcuni apici (la sequenza dell’appartamento “invaso”) e una parte finale dove la deriva paranoide diventa un vortice dirompente e sfociante in un finale beffardo e nichilista.
Naomi Scott, già vista tra i vari in “Aladdin” di Guy Ritchie e “Charlie’s Angels” di Elizabeth Banks, si porta sulle spalle tutto il film ed è una vera rivelazione.
Che sia più bello del primo oppure no, è il miglior film horror del 2024.
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