Regia di Zack Snyder vedi scheda film
I sette samurai nello spazio, fatti male (ma proprio fatti). Zack “Ralenti” Snyder torna in pompa magna con l’ennesima pomposa pastrocchiata oltremodo pompata da Netflix manco si trattasse del nuovo opus di Scorsese o Coppola.
L’interminabile film-prologo-di-reclutamento-bauchi-interstellari di qualche mese prima in confronto a quest’obbrobrio sarebbe quasi quasi da rivalutare.
Questa seconda “opera” (di ben 6 minacciate) – la “Sfregia-Maroni” – è divisa nettamente in due metà: la prima, afflitta da un montaggio letargico, che ripercorre le vicende strappalacrime dei vari personaggi sagoma di cartone (ma non si sarebbe dovuto fare nel predecessore, direte? Ehhh, ma per il regista a quanto pare si tratta di questioni sì rilevanti da meritare ulteriori spiegoni); la seconda invece costituita da un’interminabile battaglia nel corso della quale campagnoli che ancora usano l’aratro a mano riescono a tener testa a temibilissimi soldati imperiali super-accessoriati ma incapaci di beccare un bersaglio ad un palmo dal naso, mentre i “nostri” schivano laser che manco in Matrix (ci saranno come minimo dieci scene diverse in cui in realtà, dalla prospettiva da cui sono girate, si direbbe i personaggi vengano effettivamente trafitti dai colpi, ma va beh né loro né Snyder se ne accorgono).
Spendiamo qualche riga, poi, per complimentarci con la qualità della scrittura, specialmente per dei dialoghi da Oscar che Tarantino, a udirli, dovrebbe subito trovare il primo bugigattolo dove rintanarsi per la vergogna e la consapevolezza di non poter mai assurgere alle vette di Mastro Zack.
E che dire dello svolgimento della trama lungo il quale scopriamo che, per fare qualche esempio, il raccolto viene mietuto e accatastato in due giorni di numero; coltivatori di un pianetino fermo al Medioevo o poco più sono addestrati alle vie della guerra in mezza giornata (che Sun Tzu o bushido scansateve proprio); l’“Imperium” per qualche misterioso motivo non solo necessita di tale misero raccolto ma, tra l’altro, addestra uomini talmente incompetenti che si fanno fregare da un’unica ex-soldatessa (con contadinotto di ordinanza al traino) che si infiltra come se niente fosse nella “Morte Nera”, pardon, “DreadNought” (e inoltre produce velivoli così inefficienti che sputano fumo che manco ‘na ciminiera).
Lasciamo perdere, inoltre, che senza quegli slow-motion ogni due secondi il film durerebbe minimo 20 minuti di meno e non infieriamo sulla recitazione ingessata (e l’unica che riesce a cavar fuori qualche espressione viene giustamente fatta fuori, perché ci va), oltreché sulla fotografia insistentemente cupa, bruciata, tetra quasi come a voler, maldestramente, sottolineare la profondissima serietà degli eventi. Ecco, come al solito, il tono è quantomai serioso e il ridicolo involontario sempre dietro l’angolo.
Inutile aggiungere che il film neppure finisce e si chiude presagendo, con suprema costernazione dello spettatore, nuove tragedie audiovisive a venire. Come sempre: avanti così!
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