Regia di Enzo Monteleone vedi scheda film
Credo che “El Alamein” di Enzo Monteleone vada valutato prima di tutto come film di guerra, un genere che, neorealismo a parte, il nostro cinema ha praticato poco, e quasi sempre nascondendo un vago imbarazzo dietro la commedia (infatti è dalla commedia che abbiamo avuto i film di guerra più umani, a partire da “La grande guerra”). Forse perché, da quando esiste il cinema, nelle grandi guerre siamo sempre stati dalla parte sbagliata, che significa, come minimo, dalla parte degli sconfitti. Non credo perciò che si debba sottoporre “El Alamein” al dibattito su quello che il film non dice (che si trattava di un’invasione colonialista, ingiusta anche alla luce dell’oggi e nonostante l’attuale modaiolo revisionimo storico) non perché Monteleone non se ne preoccupi, ma (credo) semplicemente perché lui sta facendo un altro film: un film minimalista e di trincea su ufficiali subalterni e soldati semplici, gente che beve acqua avariata e si lava con la sabbia, che salta per aria sulle mine degli inglesi e si ritira a piedi attraverso un deserto senza fine, verso linee difensive inesistenti, che, finiti i tre miracoli che ha a disposizione, muore, male, stringendo la mano di un compagno e fingendo di illudersi che sta tornando a casa. Erano fascisti? Chissà. Prima di tutto erano gente semplice, dai dialetti diversi, la carne da macello di tutte le guerre, come i nazisti di “La croce di ferro” di Peckinpah. Se vogliamo proprio andare a scovare le idee dell’autore sul fascismo, dobbiamo rintracciarle nei particolari, nei generali che invitano alla battaglia e fuggono in auto, in un camion pieno di lucido da scarpe per le parate invece che di viveri, nel cavallo di Mussolini per l’entrata trionfale ad Alessandria. Ma in questa guerra ormai perduta di poveri e disgraziati, l’ideologia conta ben poco e lascia il passo al genere, che Enzo Monteleone evidentemente conosce e ama. Infatti, se nella prima parte del film, che è ben girata ma troppo parlata, si lascia prendere la mano dal bisogno di raccontare i personaggi (forse per giustificarne l’umanità) e da un andamento solenne un po’ da Tv movie, negli ultimi 40 minuti fa un cinema essenziale, teso, accorato: la battaglia notturna, la ritirata, gli incontri, gli incidenti, i gesti di amicizia e di umanità, si susseguono senza bisogno di spiegazioni, con un ritmo fluido e naturale e un istintivo gusto narrativo.
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