Regia di Giada Colagrande vedi scheda film
Per stomaci duri ed amanti delle storie torbide e morbose alla maniera del primo David Lynch! "Aprimi il cuore" della regista 28enne al suo debutto Giada Colagrande si rivolge ad un pubblico selezionatissimo cosciente, forse, la stessa autrice (anche sceneggiatrice ed interprete della sua opera prima) di aver realizzato e dato vita a personaggi scomodi, fastidiosi e con i quali difficilmente si riesce ad entrare in contatto. Eppure il proposito "alto" della regista di "filmare l’amore" (sentimento per sua stessa natura caldo e vivissimo!), pur nella giustificata e reale difficoltà di riuscir a dar forma a qualcosa di irrapresentabile, si risolve nel freddo e distaccato racconto del rapporto di due sorelle, del loro amore impossibile e della loro fragile ed illusoria fragilità che tiene alla larga qualsiasi pur vaga reazione di spettatori poco abituati ad una grammatica cinematografica così rigida, schematica ed astratta. Maria (Natalie Cristiani), prostituta, vive con la sorella minore diciassettenne Caterina (Giada Colagrande) un rapporto morboso: le fa da madre, sorella ed amante... e non la fa mai uscire di casa (se non per mandarla a scuola di danza). Caterina ricambia l’amore di Maria e sembra accettare la "prigionia" serenamente sino a quando non si innamora di Giovanni (Claudio Botosso), il custode della scuola di danza. Un triangolo perverso e sensuale dapprima silenzioso e consenziente ma che , subentrato un sentimento così dirompente come l’amore (Caterina incomincia a vedere segretamente Giovanni), farà precipitare Maria (ed insieme con lei la sorella) in una follia omicida senza limiti. "Dramma da camera" dalla fotografia piatta ed incolore (Nicola Vicenti) che diventa però fondamentale elemento narrativo, dalla recitazione fastidiosamente naturale, dagli sviluppi narrativi indecifrabili, dal montaggio (Fabio Nunziata) freddo e geniale nella sua essenziale asciutezza e dalla regia monotona e spudoratamente non compiacente, "Aprimi il cuore" diventa così l’accorato appello (rivolto ad un pubblico disattento ed omologato) e grido d’aiuto di un cinema che cerca di esistere e sopravvivere nella sola ed esclusiva urgenza di raccontare e filmare (senza filtri e ricatti o compromessi di sorta) le pulsioni più naturali dell’uomo.
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