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In A Violent Nature

Regia di Chris Nash vedi scheda film

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La recensione su In A Violent Nature

di mck
6 stelle

In THE Nature.

 

Col “Non uccidere” a monte, assieme a “È nato prima l’uovo o la gallina?” (per la serie “gli Esseri Viventi sono lo strumento attraverso cui il DNA si riproduce”, e “l’Essere Umano è il dispositivo creato dall’Universo per auto-contemplarsi”), eccoci qua: dall’Etica della Reciprocità dell’Età Classica alla Legge Scout, passando per l’Antico Testamento (Pentateuco e Torah), i Vangeli e il Corano: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, da cui “Non rubare” e prim’ancora “Non desiderare la roba d’altri”. It’s a very simple way of life. E la Palestina? Sta là.

 


Dopo un ventennio di cortometraggi, compreso “Z is for Zygote”, l’ultimo segmento di “the ABCs of Death 2”, Chris Nash, tecnico degli effetti speciali, esordisce sulla lunga distanza scrivendo e dirigendo “In a Violent Nature”, che mette in scena quel che dice il titolo: il PdV della MdP è un continuo e persistente pedinamento del “redimorto” in cerca di giustizia, pace e “Schquartameeent!” (anche molto…

 

 

… “inventivi”), in pratica facendo in tal modo rientrare di diritto il film nel ristretto (ma mica poi tanto) sotto-sotto-genere del “Cinema di Nuca” (da “Rosetta” dei fratelli Dardenne a “Saul Fia” di László Nemes, passando per “Yi Yi” di Edward Yang), e al contempo un’immersiva visitazione contemplativa (fotografia in 1.33:1 di Pierce Derks, montaggio di Alex Jacobs, sound design di Tim Atkins e Michelle Hwu e, tra gli attori, Ry Barrett vs. Andrea Pavlovic, Charlotte Creaghan e Reece Presley, con Lauren-Marie Taylor nell’epilogo ) nelLA e delLA Natura: umana e biosferica.

 


Dopo un (non michelangiolésco) “Say SomeThing!” non male buttato lì nel prologo, purtroppo la metà del resto dei dialoghi è scritta e declamata financo pessimamente (e non sempre, anzi molto spesso, i due insiemi, quello sceneggiativo – con una manciata di sciocchezze tecnico-comportamentali sulle quali è “facile” soprassedere - e quello recitativo, non si sovrappongono, così da aumentare lo scorno), perché in fondo una certa valida coerenza compositiva (il bel significante che non significa altro da sé) aleggerebbe pure tra il proiettore e lo schermo, rendendo tutto sommato “In a Violent Nature” un film-cui-assistere. (In "attesa" dell’eventuale opera seconda, anche per, grazie a ciò, poter meglio giudicare - pardon: contestualizzare - questa.)    

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