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L'uomo del treno

Regia di Patrice Leconte vedi scheda film

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La recensione su L'uomo del treno

di FilmTv Rivista
8 stelle

Tutti i giorni feriscono, l’ultimo uccide. E aspettando un sabato di fuoco due personaggi (anzi: due uomini) mettono a repentaglio le proprie esistenze, sognando di potersele scambiare. Un bandito che sta per rapinare una banca, un anziano professore che deve affrontare un intervento chirurgico. Uno ha invidia della condizione dell’altro, e sotto il filtro di una sceneggiatura da incorniciare (di Claude Klotz, alias Patrick Cauvin, scrittore che nel paese delle Tamaro e dei Baricco non conosce nessuno) passa il desiderio di un domani se non migliore, diverso. Patrice Leconte firma con “L’uomo del treno” il suo film migliore, sceglie la rischiosa strada di una messa in scena “sperimentale” (digitale riversato) per rendere ancora più evidente come l’unica cosa che conti sia l’anima, non la forma. Dietro ogni dialogo, un mondo; dietro ogni “maschera”, una verità. Il professore avventuriero, l’avventuriero pantofolaio, il ladro artista (Jean-François Stevenin: magnifico). Leconte e Cauvin utilizzano il canovaccio del polar (un dramma di genere con psicologie allo stato brado) per imbastire una storia esemplare, pretesto per una riflessione appassionata sulla vecchiaia di cui si ribalta l’assunto comune: non è la stagione della vita su cui cala la notte ma quella che segna l’alba di un nuovo giorno. Così si spiega anche il finale, solo all’apparenza ridondante, in cui i due uomini sospesi in una veglia di morte cinematografica si scambiano non il futuro, ma il passato. Non sarebbe così bello “L’uomo del treno” senza i due protagonisti. Jean Rochefort, il professore in pensione, gioca sul registro dell’(auto)ironia; Johnny Hallyday, rockstar noir, su quello della demistificazione («Hai letto troppi polar» dice all’amico). E non sarebbe così bello se Leconte non avesse scelto di calare il contesto rarefatto tra echi e reminiscenze di vecchi noir con Serge Reggiani e Lino Ventura o vecchi western con Gary Cooper e Henry Fonda.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 48 del 2002

Autore: Mauro Gervasini

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