Regia di Andrej Konchalovskij vedi scheda film
Janna vive in un ospedale psichiatrico nella Cecenia del 1996, è fermamente convinta di essere fidanzata con il suo idolo Bryan Adams, che nella sua immaginazione passa davanti al manicomio ogni sera cantando su di un treno illuminato, la sua vita seppur ancora giovane procede nella totale monotonia e follia del complesso psichiatrico. Tutti i malati del manicomio vivono alla giornata, che si ripete ugualmente per tutti le giornate, fino a quando una mattina, svegliatisi non trovano né medici né infermiere, e danno sfogo a tutta la loro pazzia volendo addirittura fuggire dall’ospedale, ma attorno allo stesso edificio le bombe iniziano a cadere a grappoli, la guerra tra ceceni e russi si sta circostanziando in quel tratto, ed infatti pochi minuti dopo giunge una piccola unità di combattenti ceceni, che occupano il manicomio e ne fanno una piccola base militare.
“La Casa dei matti”, dodicesimo film del sessantasettenne regista russo, è perfettamente riuscito non tanto per l’intesa dei risaputi questi filosofici “…non si sa chi sia più pazzo tra i pazzi e i non pazzi… i pazzi o i militari?...”, quanto per come li descrive, per la chiave grottesca e per molti versi geniale del plot surreale, aggrovigliato, colorato e kitsch, di come la mette in scena. Con un inizio strepitoso, ad un ritmo serratissimo e irresistibile, citazione del nonsense che fu, il film svolta pian piano verso una direzione più precisa, astuta ma sempre intelligente, la descrizione eversiva di guerra e pace, di cognizione e rappresentazione, ed è proprio l’incontro tra i due comandanti avversari che si riscoprono compagni d’armi in Afghanistan, a fungere da scheletro filosofico al film, il presente si vive ma il passato si ricorda. La sceneggiatura è ineccepibile, non sgarra di una virgola, e l’interpretazione di Yuliya Vysotskaya, moglie del regista, lascia senza parole, come d’altronde l’intera opera di Konchalovsky, quasi un omaggio al grande Fellini e una denuncia alla politica della guerra, che ci condiziona in tutto, a noi cosiddetti “normali”.
Gran Premio della Giuria e premio UNICEF al Festival di Venezia 2002 e candidatura all’Oscar per il Miglior Film Straniero dello stesso anno.
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