Frontiera tra Cecenia e Inguscezia, anno 1996: scoppia la guerra civile, i ribelli ceceni attaccano le truppe russe. Sul confine c’è un manicomio; accanto al manicomio passa una ferrovia; sulla ferrovia sferraglia un treno e sul treno c’è Bryan Adams che strimpella la chitarra. No, non siamo impazziti, non dobbiamo esser rinchiusi anche noi in un manicomio ceceno. Andrej Koncalovskij, regista dal grande passato e dall’incerto presente, ha davvero piazzato il rocker canadese in un film-metafora sulla follia della guerra. Una delle pazze che vive nella “Casa” del titolo è una sua fan, e quando ha le visioni Bryan arriva in carne ed ossa a consolarla, facendole la serenata. È l’aspetto più bizzarro di un film talmente assurdo da poter diventare (forse) uno “scult”. Koncalovskij ha tentato l’apologo alla Cechov sullo sgretolamento della sua patria: ma Cechov lavorava sulla sottrazione, lui non fa che aggiungere, di tutto. Urla, strepiti, chiacchiere alcoliche e canzoni di Bryan Adams.
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