Regia di Liliana Cavani vedi scheda film
Tom Ripley è un mercante d’arte, sposato con una bella donna che fa la musicista e vive in una elegante villa palladiana: è un amante delle belle cose? Forse, ma soprattutto Tom Ripley è un assassino e un corruttore. In questa storia (da un romanzo di Patricia Highsmith già splendidamente trasposto sullo schermo da Wenders con L’amico americano nel 1977) Ripley conosce infatti un bravo corniciaio affetto da una malattia incurabile e lo coinvolge in un “gioco” fatto di violenza e omicidi. Il giovane in cambio riceverà molti soldi che consentiranno alla sua futura vedova di vivere dignitosamente.
Se l’interpretazione che John Malkovich dà di questo personaggio a volte può anche risultare affascinante, si tratta comunque solo di sprazzi in un film abbastanza sbagliato. La rarefazione e il dolore psicologico che Wenders riesce a far emergere dal suo film, in quest’opera della Cavani scompaiono per lasciare il passo ad una staticità piuttosto scolastica, ad una sorta di “illustrazione” da abbinare al libro, ma non ad una buona versione cinematografica dello stesso. Non convince il personaggio del corniciaio e lo stesso Ripley è il più delle volte inadeguato. John Malkovich, come ho detto, cerca di dargli fascino, ma la linea di “sfacciato mistero” del personaggio alla lunga diventa solo maniera.
Liliana Cavani non convince affatto nelle sue scelte registiche, poiché là dove non è solo scolastica (per esempio negli esterni che offrono patinate o cartolinesche immagini di Berlino, Asolo, di una locanda Cipriani e naturalmente della Villa di Palladio), fa anche di peggio. Nella scena degli omicidi in treno non si riesce a capire se ciò che la regista vuole mostrare è la spietatezza di Ripley o una specie di macabra ironia, che però mal si adatta alla situazione descritta. C’è poi una vera e proprio incapacità logista nel creare la suspence. Per esempio quando, verso la fine, Ripley crede di aver concluso l’affare, ma vedendo un’auto con targa tedesca intuisce che sta per succedere qualcosa di grave. L’auto infatti è teoricamente nascosta per non dare nell’occhio, eppure la sua collocazione nella scena è talmente ovvia da far scemare tutta la suspence che una scoperta del genere avrebbe dovuto creare.
Il gioco di Ripley soffre anche di un cast inadeguato che, o non è in grado di sviluppare più di tanto i propri personaggi (è il caso del già citato Malkovich, ma anche di Dougray Scott che veste i panni del corniciaio Jonathan), o è una specie di bella statuina (Chiara Caselli che fa la moglie di Ripley).
Insomma, Ripley’s game è senz’altro uno dei film più piatti di Liliana Cavani. Mai d’innanzi ad un suo film ho avuto in modo così netto l’impressione di essere davanti a un qualsiasi film televisivo. Spiace dirlo, ma rispetto a quest’unico lungometraggio, persino i telefilm dell’Ispettore Derrick, di puntata in puntata, hanno molte più cose da comunicare pur non cambiando mai stile da ben oltre di vent’anni.
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