Regia di Chantal Akerman vedi scheda film
Il senso del possesso, di appartenenza, spingono un giovane ricco parigino a tenere presso di sé, in una prigionia dai tratti volontari e masochistici, una giovane donna, che tuttavia non rinuncia a tentare di riappropriarsi della propria libertà. Da Proust un film meditativo e sospeso girato in grande stile da una Akeman che quasi non riconosciamo
8° IN & OUT FILM FESTIVAL - NICE - OMAGGIO A CHANTAL AKERMAN
Il desiderio di possesso, la brama di appartenenza, l'incapacità di rassegnarsi ad un probabile rifiuto, spingono un giovane ricco parigino di nome Simon, prima a seguire e pedinare, poi a trattenere nella sua regale dimora, una giovane avvenente ragazza di nome Ariane, dallo spirito libero e tutt'altro che disposta a cedere alle lusinghe del ragazzo.
Ma quando il ragazzo si accorge che nulla potrà fermare la ragazza, spirito libero ed indipendente che prova quasi piacere ad essere tenuta prigioniera per poter sfuggire al controllo ed assaporare i piaceri proibiti e vietati di relazioni clandestine, quasi impazzirà dal dolore, fino a ritrovarsi solo in seguito all'ultimo disperato gesto della ragazza.
Liberamente tratto da La Prisonnière di Marcel Proust, La Captive ci mostra un lato insolito e sconosciuto della Akerman, se si pensa alla sua produzione sperimentale ed indipendente anni '70 ed '80.
Qui l'avanguardia e la rottura con gli schemi narrativi più lineari e accademici viene scientemente meno a fronte di una struttura che privilegia la contemplazione e la compostezza.
La macchina segue da dietro i suoi protagonisti nell'atto di spiarsi e di cercarsi, li riprende in volto illuminando le loro espressioni sofferenti ed incerte, mentre lunghe riprese a telecamera fissa ci disegnano coreografie complesse e complete sulle quali non è insensato insistere per meglio farci cogliere ricostruzioni d'ambiente e completezza scenografica.
Uno stile austero che non concede nulla o comunque molto poco all'azione e che ricorda, per certi tratti, soprattutto nelle riprese a camera fissa, certe scelte stilistiche privilegiate dal maestro portoghese De Oliveira.
Sylvie Testud, giovanissima, snella come un cerbiatto, è l'amore sfuggente e imprendibile frutto di una ossessione che non può non virare verso la tragedia definitiva. Molto bella, sensuale e riuscita la scena della vasca da bagno in cui il protagonista è immerso, e che si affaccia (chissà con quale criterio) su una vetrata oltre la quale il ragazzo osserva estasiato la sua musa, così vicina, eppure così lontana.
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