Regia di Walter Hill vedi scheda film
In un superpenitenziario gravido della feccia d’America (quella che al Sogno Americano ha smesso di credere già da un pezzo, ma che canta ancora "God Bless America", anche se sotto forma di rap: Dom Cobb), ci sono poche regole da rispettare e poche cose che contano davvero. Il rispetto, su tutte. Fuori e dentro il ring (o sarebbe meglio dire la “gabbia”). Ma la strada per conquistarlo è lastricata di insuccessi e di perdenti. Fra i quali, necessariamente, uno tra il campione George "Iceman" Chambers (V.Rhames) ed il campione Monroe Hutchen (W.Snipes).
Chi saprà mostrare gli “occhi della tigre” (prendendo a prestito una locuzione invero notoria per via di un altro incontro di pugilato)? Chi passerà per la “porta stretta” che conduce all’unico successo che, in quel mondo (quello della boxe, ovvero la “nobile arte”, così qualificata forse perchè consente finanche a reietti ed ultimi della classe di dimostrare il proprio valore, nel rispetto di poche regole) conta (il rispetto, per l’appunto)?
Premesse succulente la cui gestione impeccabile da parte del redivivo W.Hill (celebre per qualche successo di due decenni addietro) consente di farci godere di un gran bello spettacolo visivo. Lo stile registico documentaristico (scandito da numerosi inserti didascalici: Immoarale) ed il rigido contingentamento dei tempi narrativi rendono ritmo e tensione sempre incalzanti, mentre il caratteraccio dello spaccone spacca teste “Iceman” fa il resto (surriscaldare il clima, reso peraltro già torrido dal deserto californiano ove è sita la prigione, ed incrinare il profilo ascetico del suo avversario).
Di film sulla boxe se ne sono visti molti. Di film sulla detenzione se ne sono visti di pari numero. Ma non capita spesso di assistere ad un buon B-movie come questo che flette al massimo i suoi muscoli onde offrire, al prezzo di uno, lo spettacolo di una commistione perfetta fra entrambi i sottogeneri.
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