Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 7 agosto, il regista de Il Sesto Senso (e di The Village, Lady in the Water, la trilogia Unbreakable, Split e Glass oltre a Old e al recentissimo Bussano alla porta), al solito anche produttore e autore della sceneggiatura e assistito, alla fotografia, da Sayombhu Mukdeeprom, abituale collaboratore di Luca Guadagnino, con Trap si mostra mai così hitchcockiano e, di conseguenza, anche depalmiano (qualcuno ha detto Omicidio in diretta?) rivelandoci che il mostro spesso e volentieri siede accanto a noi, quando non direttamente a casa nostra, con il ritratto di un serial killer efferato e metodico ma capace al tempo stesso di essere anche premuroso padre di famiglia e un genitore attento e amorevole, ispirandosi probabilmente alla figura del clown assassino John Wayne Gacy, impegnato nel sociale e papà di due bambine che negli anni’70 rapì, torturò e uccise 33 adolescenti, tutte di sesso maschile, molti dei quali seppelliti direttamente sotto la sua abitazione (una nelle fondamenta del barbecue, in giardino) o ammassate in cantina, catturato, condannato a morte e giustiziato con iniezione letale nel 1994, dopo 14 anni di detenzione nel braccio della morte.
“La pia illusione secondo la quale il male non esiste lo rende soltanto vago, enorme e minaccioso” Aleister Crowley
Il cinema di M. Night Shyamalan da sempre ha a che fare con situazioni familiari complicate o fuori dall’ordinario e da spazi chiusi considerati come zone sicure e/o di relativo confort, che siano poi villaggi che coltivano l’illusione di un riparo dalle minacce del mondo o bolle atemporali invalicabili come la spiaggia di Old, o una semplice villetta dei nonni materni come anche una casa di villeggiatura immersa nei boschi come in Bussano alla porta, ambientazioni spesso sospese nel tempo dove il mistero si apre su un abisso di orrore ma anche soglia, reale o anche solo mentale, di una fuga dalla realtà.
Shyamalan ha dalla sua un’innegabile abilità nella messa in scena e una virtuosa capacità nel costruire la suspence al punto di richiamare quest’idea di cinema come prigione (o rifugio?) nella quale la sospensione dell’incredulità è assolutamente (volutamente?) obbligatoria, forzandone spesso certe premesse ma che, se si riesce a stare al gioco, promette anche un’esperienza fuori dall’ordinario.
Anche questa pellicola non è da meno.
In Trap, come in Nodo alla gola di Hitchcock, conosciamo già l’identità dell’assassino e tutta la tensione si concentra piuttosto sul come tenterà di evitare le trappole tesagli dall’FBI, giocando con la prospettiva dello spettatore e cercando di farci empatizzare con il serial killer in un thriller che diventa sempre più simile a una partita a scacchi, e con la musica al centro di ogni mossa in quanto il tutto avviene all’interno della Tanaka Arena di Philadelphia (ma il film è stato girato a Toronto) durante un concerto di Lady Raven, fittizia Pop Star amatissima dalla generazione Zeta e costruita sul modello di Taylor Swift o Lady Gaga, che diventa il teatro di una vibrante caccia all’uomo.
È innegabile che l'idea di un serial killer bloccato a un concerto pop sia una bella intuizione ma i “soliti” maligni diranno che Trap è soprattutto una scusa per lanciare la carriera da cantante della figlia Saleka Shyamalan, che interpreta Lady Raven, in quanto tutte le canzoni che sentiamo nel film sono sia composte che interpretate da lei.
Sicuramente è una bella vetrina e potrò sicuramente essere da traino per la sua carriera ma Trap non è soltanto questo.
Shyamalan è interessato piuttosto a entrare nella psicologia di un essere umano che manca completamente di empatia o che vede gli altri soltanto come un mezzo per soddisfare le proprie "urgenze", come le chiama lui, od ostacoli che negano tali soddisfazioni e quindi da spazzare via.
“Non esistono persone integre. Siamo tutti rotti”
Una dicotomia che rispecchia molto della nostra vita ma anche il mondo social, aspetto questo fondamentale nel film, in cui tentiamo di mostrare al mondo soltanto la parte che vogliamo, quella più piacevole o che riteniamo più interessante o più utile ai nostri bisogni. Esattamente come fa il serial killer del film.
È questo il messaggio del film? I social stanno, proprio in questo stesso momento, costruendo i nostri "mostri" di domani? Probabilmente sì.
Non capita spesso che un thriller o un horror venga raccontato dal punto di vista del serial killer (prossimamente In a violent nature, nei migliori cinema!) e se Shyamalan ci riesce è soprattutto merito di Josh Hartnett, omicida perturbante e rassicurante al tempo stesso.
L’interpretazione di Hartnett è fondamentale per la riuscita del film e muovendosi tra paura e ironia si dimostra perfetto nel gestire il doppio ruolo di padre amorevole e il sadico serial killer, uno giano bifronte con un io diviso divorato dalla necessità di frantumare tutto ciò che ritiene o appare integro alla sua mente malata, incapace di provare il minimo rimorso per le sue azioni ma che eccelle nell'arte della manipolazione psicologica, tanto da riuscire ad ingannare lo stesso pubblico in sala chiamato, almeno nella prima parte, a parteggiare per lui.
Sicuramente il suo aspetto da bravo ragazzo lo ha aiutato non poco nell’interpretare un ruolo rimanendone perfettamente a fuoco per tutta la durata della pellicola ma, d’altronde, aveva già dimostrato il suo talento nel nascondere/rivelare l’oscurità dell’animo umano nella mai abbastanza celebrata serie tv Penny Dreadfull e quando nella seconda metà Trap avverte le conseguenze di un twist che, seppur in tono minore, sovverte e modifica comunque il concept di base, ampliandone l’impostazione e abbandonandosi a certe ridondanze, verbosità e ad alcuni risvolti fin troppo forzati, è sempre la sua interpretazione a garantire la continuità e il coinvolgimento del pubblico in sala, e accompagnandolo nonostante tutto alla fine (?) della storia.
Completano poi il cast Ariel Donoghue, Saleka Shyamalan, Alison Pill, Hayley Mills, Jonathan Langdon, Marcia Bennett, Marnie McPhail e Lochlan Miller.
Tra i lavori più rigorosi, epidermici e al tempo stesso divertenti e fieramente pop del regista, Trap è un’opera mimetica ed esempio eccellente sulla fenomenologia delle immagini, probabilmente non all’altezza delle sue produzioni migliori ma regala comunque al pubblico una pellicola con ritmo e un’ottima progressione.
VOTO: 7
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