Regia di Stephen Frears vedi scheda film
«Vengono di notte per fare delle cose sporche, che la mattina dopo sono diventate delle cosette gradevoli». È questa la filosofia che Sneaky, ambiguo capo del personale di un vecchio hotel londinese, riassume a Okwe, un immigrato clandestino africano che al suo paese era medico e che invece a Londra si sfinisce facendo di giorno l’autista di minicab e di notte il portiere d’albergo. E, tra le cosette sporche che accadono al Baltic Hotel, oltre ai clienti pervertiti che picchiano le prostitute, c’è anche qualche traffico più cupo, lucroso e tragico. Il nuovo film di Stephen Frears, Piccoli affari sporchi, comincia come un noir, con tocco blu-verdastro al neon che ricorda uno dei migliori noir della tradizione cinematografica britannica (Mona Lisa di Neil Jordan, che ha un’ambientazione e dinamiche psicologiche molto simili a questo film) e con quel fondo di squallore metropolitano e di notturno abbandono che già caratterizzavano il londinese Sammy e Rosie vanno a letto e il losangelino Rischiose abitudini. Poi, il noir prende la strada più aspra della denuncia di alcune tra le tante vergogne che si acquattano nelle pieghe delle nostre metropoli, che lacerano e a volte distruggono africani, turchi, cinesi che sono arrivati fin qua sperando in una vita migliore, o londinesi senza privilegi. Frears ha il dono della mano lieve e sa tracciare caratteri con pochi tratti (il cinese che lavora all’inceneritore di cadaveri, la prostituta nera che passa le sue notti al Baltic, il proprietario della compagnia di minicab che si è beccato la gonorrea). Sa anche fare film con il budget ridotto della Bbc, film e non tv movie. Piccoli affari sporchi è ben scritto, ben diretto, ben recitato, fotografato magnificamente da Chris Menges. Non è poco.
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