Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film
Devo ammetterlo, mi ha sconvolto! Ero entrata in sala con i peggiori auspici: il film è coreano, una cinematografia che non conosco. Per me un rischio. Ho resistito fino alla fine, ma che sofferenza. Non capivo che direzione avrebbe preso la trama, perché nella prima mezz'ora si vede questo ragazzo perditempo, che vive di espedienti. Ma l'impatto più grande su di me l'ha fatta la scena del rapporto che il ragazzo strappa alla paraplegica. Beh, io non ci ho trovato nulla di poetico: anzi, l'ho presa come una violenza carnale vera e propria. Da quel momento la storia è stata irrimediabilmente compromessa. Non riuscivo ad appassionarmi ai personaggi, man mano che l'amore (devo dire autentico) prendeva quota. Ma una cosa devo riconoscerla al regista: data la materia rovente (un giovane leggero, una disabile e grave) poteva calcare la mano molto di più, e invece ha tradotto alcuni episodi con poesia senza pari. Come la famosa Oasi, su quell'arazzo, che provoca lo spavento di Gong, l'intermezzo con danza e musica indiana e tutte le volte che la protagonista immagina di essere una ragazza come tutte le altre. Niente stacchi della cinepresa, un'idea di continuità che incanta. Intenso, molto intenso, questo sì.
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