Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Matsumoto (Hidetochi Nishijima) e Sawako (Miho Kanno) sono due innamorati per la vita. Il loro amore rischia di essere compromesso quando la fedeltà ad antiche usanze spinge i genitori del ragazzo ad accettare per lui il classimo matrimonio d'interesse. Sawako tenta il suicidio e matsumoto abbandona tutto e tutti per legarsi a lei senza mai più abbandonarla. Hiro (Tatsuya Mihashi) è un anziano capo della Yakuza. Di fronte all'imminenza della morte si ricorda di un amore di molti anni prima, quando era solito incontrarsi al parco con Ryoko (Chieko Matsubara) che tutti i giorni gli portava il pranzo. Lei è ancora li, ogni sabato si siede sulla panchina e aspetta che arrivi Hiro per dividere di nuovo il pranzo insieme, come gli promise che avrebbe fatto trent'anni prima. Haruna Yamaguchi (Kyoko Fukada) è una popstar di successo. In seguito ad un grave incidente d'auto decide di ritirarsi e di non farsi vedere da nessuno. Ha un fan del tutto particolare, Nukui (Tsutomu Takeshige), talmente innamotato di lei da annullarsi totalmente.
"Dolls" (bambole) di Takeshi Kitano è un film percorso da una commovente carica sentimentale, profondo ed appassionato insieme nel tratteggiare le radici storiche e culturali delle solite sofferenze sentimentali. Tre storie d'amore in cui i rispettivi personaggi, alla maniera delle marionette della tradizione del teatro "Bunraku" che aprono il film, sembrono muoversi come diretti lungo un percorso deciso da altri. E' il tema doloroso dell'abbandono il perno intorno al quale ruota l'intero film, la sensazione di smarrimento che si ricava dallo scoprirsi senza più uno scopo nella vita, che è tanto più forte quanto più vero è l'amore per la persona che si è deciso di aspettare in eterno, che è tanto più capace di annullare un esistenza quanto più si è convinti che così facendo si riesce ad accomunare entrambi i destini nel solco di una medesima sofferenza dell'animo. I colori sono molto accesi, con una netta prevalenza del rosso. Rosso è il colore degl'alberi in fiore e rosso è il sangue che provoca lancinanti fratture. Ma rossa è soprattutto la corda che tiene uniti Matsumoto e Sawako, una corda che idealmente lega le tre storie rendendole specularmente partecipi di una stessa malattia del cuore, quell'amore assoluto tenacemente idealizzato e devotamente perseguito. I due ragazzi che si incamminano legati l'uno all'alto seguendo le tappe dei loro momenti più felici, la donna che aspetta da trent'anni lo stesso uomo sulla stessa panchina e il ragazzo appassionato fideisticamente alle gesta di una popstar, sono delle persone che hanno fissato le proprie vite all'ora dei loro ricordi più belli, intenti a relativizzare il tempo in virtù di un amore che si ritiene eternamente uguale a se stesso, istintivamente portati a restringersi lo spazio vitale in ragione di un attività emotiva che si vuole limitare alla realizzazione di uno scopo. La felicità è l'attimo presente che si accompagna alla memoria di ciò che non è più, tutto il resto non conta, il passato è un tronco marcio che non si rigenererà più, il futuro è una pianta che non ha mai messo solide radici. Attraverso la tipizzazione sentimentale di questi personaggi istintivamente votati al sacrificio per amore, Takeshi Kitano opera con "Dolls" una rilettura in chiave moderna di aspetti assai radicati nella storia e nella cultura del Giappone immergendoli, attraverso dei suggestivi mutamenti cromatici dettati dallo scorrere delle stagioni, in un estasi naturalistica di grande efficacia figurativa. Evidentemente sono stati soprattutto l'uso sapiente dei colori ed un estetica dello sguardo portato all'estremo dei suoi contenuti formali ad indurre i più a palare di "opera della maturità" riferendosi a "Dolls". Espressione anche condivisibile se con essa ci si vuole unicamente riferire a un diverso modo di mescolare gli ingredienti tipici della poetica Kitano, all'eleganza formale che porta ad accentuarne certi piuttosto che altri. Altrimenti si rischia di palesare una conoscenza solo parziale dell'opera dell'autore giapponese, propria, sia di chi lo ha sempre e solo relegato al genere della Yakuza, sia di quanti, pur rimanendo nel genere, non vi hanno saputo rinvenire, ne la straniante caratterizzazione dei suoi tipi d'autore, ne tantomeno la sostanza malinconica di un analisi originale e profonda sull'uomo moderno.
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