Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Il mondo dell'amore umano è un teatro incantato di bambole imperfette, di burattini non sempre docili al copione, perché imprigionati in una parte tutta loro, spesso indecifrabile, che non ammette deroghe. Il sentimento che va fino in fondo non segue la romantica armonia del melodramma, né il ritmo estetico della poesia; non è arte e non è racconto, perché sostituisce, all'evoluzione logica della narrazione, la sfiancante monotonia della cocciutaggine. I suoi colori non sono tonalità sfumate, bensì tinte smaccate, stese con pennellate spesse su forme elementari e dai contorni ben marcati: le sfumature non appartengono, infatti, a colui che disperatamente crede e vuole. Per lui la luce è un'abbagliante incandescenza, esattamente come, sul versante opposto, è impenetrabile e completo il buio. Non ci sono mezzi termini, né distinzioni prodotte dal trascorrere degli anni. L'amore trascende indifferente lo spazio, il tempo, la realtà stessa; nega l'evidenza e si rifugia nell'assurdità, la sola dimensione che gli sia congeniale, l'unica in cui possa vivere indisturbato. Dolls è la muta risposta a chi pretende di fare dell'amore un "baratto" o un argomento da talk show: il sentimento respinge le parole, resta in silenzio ad attendere e non cerca mai ragioni.
Nella splendida fotografia di questo film, il rosso vivo, oltre che il tradizionale marchio visivo dell'amore, è il colore dell'autunno, del tramonto e del sangue sparso, ossia di quella fiammata finale, di quell'estremo ardore di brace che precede l'estinguersi del calore dell'estate, del giorno e della vita umana.
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