Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Ciliegi in fiore sul far
della sera-
anche quest’oggi
è diventato ieri.
- Kobayashi Issa -
Dolls rappresenta l’apice della filmografia di Takeshi Kitano. E’ la sua opera completa, che abbraccia totalmente la tradizione giapponese. Takeshi Kitano che non solo è regista, ma attore, comico, scrittore e pittore, in questo film esprime il suo lato più emotivo, più intimo, più poetico, più artistico, discostandosi molto dai temi della yakuza, popolari nella sua filmografia. E’ un pendolo Kitano, come lui stesso si definisce, che oscilla dalla violenza alla più pura emozione e qui emerge la sua massima espressione.
Partendo dalla rappresentazione artistica tradizionale del teatro giapponese, il bunrako, che racchiude insieme l’uso di bellissimi burattini (Dolls) uniti a testo e musica, Kitano narra la storia di Matsumoto e Sawako, intrecciandosi ad altre due, quella di Hiro, boss della yakuza, e di Haruna, cantante idol, tre vicende tragiche d’amore, come nella più classica concezione teatrale shakespeariana.
In apertura il bellissimo teatro bunrako mette in scena due splendide bambole e la tragicità della loro storia. Mi ha subito ricordato il primo episodio di “Sogni”, di Kurosawa, film dove il regista usa la tradizione giapponese per raccontare la propria storia e insieme denunciare quanto il Giappone si sia occidentalizzato.
Stacco su Matsumoto, giovane innamorato di Sawako, povero ma ricco d’amore, riceve una proposta lavorativa allettante a patto di sposare la figlia del suo capo. Sawako sconvolta tenta il suicidio. Salvata in extremis resta chiusa nel suo silenzio non comunicando più e non riconoscendo i suoi cari. Matsumoto decide di restare con lei consapevole di vagare eternamente in povertà e di aver rotto un patto d’onore, un disonore per lui e i suoi genitori. Accudisce la ragazza con delicatezza e attenzione, come verso il fiore più raro, fragile e prezioso. Per timore che possa farsi del male la lega a sé con un filo rosso, simbolo per eccellenza orientale del legame eterno tra due innamorati. Vagano a piedi attraversando località e stagioni, scenari di rara bellezza che incantano lo spettatore. I sakura in fiore, il rosa, è il primo colore di questa storia, cammino che si incrocia con la vita di Hiro, esponente della yakuza giapponese. Hiro è spietato, ma ammalato e anziano. Consapevole della sua imminente fine ripensa alla giovane fidanzata che tanti anni prima aveva lasciato su una panchina, il pomeriggio di un sabato, mentre stavano per pranzare insieme. Ripensa alla promessa dell’amata, di averlo atteso ogni sabato fino al suo ritorno e viene sopraffatto dal ricordo, dai sensi di colpa, dalla malinconia. E proprio mentre Hiro decide di tornare da quella donna qualcuno lo attende in agguato…
Nel loro viaggio senza meta Matsumoto e Sawako, lungo una bellissima spiaggia, incrociano Haruna, giovane e attraente cantante idol, che dopo ogni concerto o prova riceveva le attenzioni dei suoi più fedeli ammiratori, tra questi il timido Nukui. Haruna rimasta sfigurata dopo un grave incidente, si è ritira dal pubblico e non vuole più ricevere visite da nessuno. Nukui soffre e riguardando le foto della ragazza, non potendo immaginarla sfigurata, decide di accecarsi trovando così il modo di potersi pacatamente avvicinare a lei. Un incontro avvolto dai silenzi, sulla spiaggia e poi in un roseto. Un esplosione di bellezza e colori di cui Nukui avverte solo l’intenso profumo, il profumo della serenità. Ma rientrando a casa, su una via poco sicura, il ragazzo viene travolto e ucciso da una macchina. Tra il porpora del suo sangue che inonda il marciapiede una foglia d’acero lenta s’adagia sulla sua spalla… Nello stesso momento Sawako nota e raccoglie una foglia d’acero sulla spalla di Matsumoto che, chinato, sta riposando. E’ il primo gesto fisico, il primo avvicinamento della ragazza. I due ragazzi si rimettono in cammino, ma i loro volti sono sempre più inespressivi, la mdp è focalizzata sull’ambiente, sulle vallate dipinte di rosso dalle foglie d’acero, un incanto di sensi, un colore che nella simbologia e tradizione giapponese rappresenta lo spirito, la forza. Tutto è esenziale ed effimero, infatti, pochi passi dopo, un bianco manto di neve scopre le loro impronte. Ora tutto è bianco. Il loro viaggio è avvolto dal silenzio, i due ragazzi non parlano mai, non hanno espressioni. Sawako nel suo deambulare assume sempre più le sembianze di una bambola. All’arrivo davanti a una vecchia casa vedono stesi due abiti tradizionali e li indossano, ecco terminata la loro trasformazione nelle bambole bunrako. Basta un solo inciampo sulla neve per cadere e rotolare lungo il fianco della montagna immacolata e candida. Solo le luci di una magnifica alba sorprenderà i due amanti, ormai morti, rimasti appesi ai rami dell'unico albero nel burrone, sospesi nel vuoto, insieme anche nella loro fine.
Un film agrodolce, denso di poesia, di colori, di simboli tradizionali giapponesi. Un tributo, un omaggio di Kitano alla propria Terra, un inno al passato, ma anche una critica per l’occidentalità che ha permeato la cinematografia giapponese. Kitano usa tutti gli strumenti artistici che possiede, la sua poetica è lieve, plana sulle cose come un vento leggero, quasi effimero. L’uso dei colori è una forte espressione visiva, enfatizza i contenuti seppur sottraendoli dalle emozioni. Come un haiku, breve e sintetico, Kitano coglie l’attimo e lo descrive poeticamente per poi lasciarlo andare, scorrendo tra i fotogrammi della pellicola.
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