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Miller's Girl

Regia di Jade Halley Bartlett vedi scheda film

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La recensione su Miller's Girl

di mck
6 stelle

Sabba(tico), ovvero: "Lui mi ha sottovalutata, io l'ho sopravvalutato."

 

 

Miller’s {dall’Henry che fu al Jonathan Albert [un Martin Freeman come al solito bravissimo (perché proprio, “banalmente”, non gli riesce di non essere tale), ma forse un po’ fuori (?) parte] che è} Girl” è uno di quei film semplici, e a tratti persino semplicistici (“Vieni qui.” - “No, vieni qui tu.”), dal PdV della struttura, del linguaggio e dei dispositivi filmici, ma non propriamente stupidi, che consegnano però un portato filosofico – non complesso, per l’appunto, ma nemmeno complicato – sull’essere umano nel corso de (e in rapporto a) i vari zeitgeist (qui siamo in zona - dal PdV etico-morale, non dalla struttura che lo veicola - “Election” di Alexander Payne, e tanto altro, come ad esempio la terza stagione di “the Affair” o, per volare un po’ più bassi e dunque a quote più consone al contesto, “Do Revenge” di Jennifer Kaytin Robinson, o ancora “Heathers”, “JawBreakers”, eccetera eccetera, sino ad unallure patinata à la Adrian Lyne) in divenire: c’è (o, meglio, ci sarebbe) tanto da discutere, ma un po’ troppo poco da “godere”.

 


“Non si può essere seri a 17 [praticamente 18] anni”, dicevan quelli. (Ma a 51 magari sì, eh.)

E d’altronde Cairo Sweet (non Urban, il Cavaliere del Lavoro riabilitato penalmente con fedina penale ripulita dopo le condanne in sentenza definitiva in uno dei processi dell’inchiesta Mani Pulite durante Tangentopoli ed oggi alla guida di RCS, La7 e Torino Football Club, ché magari qualcuno può confondersi, oh), una Jenna Ortega (“X”, “WednesDay”, “FinestKind”, “BeetleJuice BeetleJuice”) in “perenne” (ma non ancora usurata né ridondante) parte, le mette sin da subito in chiaro, le cose, rispondendo così alla domanda “Non ti spaventa il camminare da sola per quei boschi?” che le pone l’autore di “Apostrophes and Ampersands” (“Apostrofi ed “e” commerciali”, cioè «’ ed &»): “Sono io la cosa più spaventosa là dentro!”, mentre impersonifica da sé “l’inefficacia dei dogmi romantici sulle aspettative dei giovani”, mettendo in pratica la risultanza di quel postulato assunto come dogmatico rendendolo localmente assiomatico.

 


“Ma Jon, piccolo, sei tu il cattivo, qui.”

E d’altronde è la stessa moglie (Dagmara Dominczyk: “the Immigrant” e “Hello Tomorrow”), “indisponibile sentimentalmente”, ma non sessualmente, che – no, non che lo “spinge” nelle “grinfie” di Cairo, ma che –, oltre a tutto sommato amarlo, mette sin da subito in chiaro (ben prima che scoppi lo scandalo), le cose (bis), in maniera ulcerosamente “sincera” (?) e con una “amorevole” (?) sentenza preventiva - “Non è che non sai scrivere, John, è che non lo fai!” - tanto lapidaria quanto “innocentemente” renudica (neologismo che ho coniat’or’ora).

 


“Eroina. Furfante. Scrittrice.”

E d’altronde “la gotica 18nne che indossa il desiderio di fuga dal Tennessee [interpretato dalla Georgia; NdA] come un fottuto velo” ha scelto e preteso, mettendo sin da subito ben in chiaro le cose (tris), Henry Miller {il quale, a parte l’invecchiamento (?) naturale, impreziosente o inacidente che sia, è diventato suo malgrado e al di là del valore intrinseco delle sue opere un abusato cliché discorsivo da quasi un secolo [si consideri ad esempio il remake scorsesiano di 35 anni fa del “Cape Fear” di 30 anni prima, che metteva in primo piano non il duplicemente allusivo “Opus Pistorum” (aka “Under the Roof of Paris”) su commissione, ma la trilogia di “the Rosy Crucifixion (Sexus, Plexus, Nexus)”], ma che qui, per contro e per l’appunto, riceve la dimostrazione della propria attuale virulenza lawrence-bataillesca}, mica Robert Frost, James Joyce o Raymond Carver, giusto per dire.

 

 

“Non puoi confondere le linee e poi aspettarti che io veda un confine quando all’improvviso lo attraverso.”

E d’altronde proprio da un album di Janis Ian del 1974-‘75 che porta il nome di “Between the Lines” è tratta la proverbiale e paradigmatica “At Seventeen” che scorre – in parziale, ma preponderante, contrasto divergente con la storia – sul rullo dei titoli di coda dopo il cut a tendina che chiude il sipario sul volto piangente/colpevole & sorridente/soddisfatto di Cairo Sweet: “ugly girls like me, at seventeen”, per citarla letteralmente, ma decontestualizzandone il senso, torcendolo e ribaltandolo.

 

 

“Volevo sperimentare qualcosa che non capivo. L’ho fatto, ed è stato ridicolizzato dalle mie idee infantili sull'amore.”

Quindi: evoluzione o involuzione dei tempi storici? Azzarderei metà e metà. Ma comunque Herry Miller non ci sarebbe, mai, cascato, né allora (ch’erano altri tempi, per l’appunto), né oggi. Però… che in fine “Miller’s Girl” possa essere – dopotutto, e senza nient’e nulla togliere alla nuova Anaïs Nin o Almudena Grandes o Melissa Panarello in erba – il nuovo romanzo di Jonathan Albert Miller che assume il PdV di Cairo Sweet, un humberthumbertiano tentativo di immedesimazione impacciatamente riparatoria, non appare così avventata come ipotesi (anche se non depone a favore di un film che non fatica a mostrare ognuna delle sue molteplici imperfezioni, ma che d’altro canto si fa forza - onestamente, e con tutte le ragioni del mondo per farlo - della propria ambiguità).

 


Congedum/Commiatum Pistorum, ovvero: Sotto i Tetti del Tennessee.

In conclusione, oltre a Jenna Ortega, Martin Freeman e Dagmara Dominczyk completano il cast principale di quest’opera prima scritta e diretta da Jade Halley Bartlett, co-prodotta da, tra gli altri, Seth Rogen ed Eavn Goldberg e distribuita da LionsGate gli altrettant’ottimi Gideon Adlon e Bashir Salahuddin, mentre la fotografia è di Daniel Brothers, il montaggio di Vanara Taing e le musiche originali di Elyssa Samsel, con – a parte la già citata “At Seventeen” di Janis Ian – quelle di repertorio capitanate da “Lover, You Should've Come Over”, il mega-classicone di Jeff Buckley qui in un’apprezzabile versione di Nick Boddington tutto sommato inserita non troppo banalmente, e soprattutto dalla fantasticamente potentissima “Mariana Trench” di Dwara & Khotton Palm, molto ben utilizzata facendole accompagnare un climax (il bacio Ortega-Adlon, che negli anni ‘80-’90 avrebbe spaccato di brutto) sino all’apice castrato.

 

 

Kuinka voisin koskaan olla yksinäni ihminen?
Tarviin sun lämpöö, kerro mulle mitä haluat… haluat!

Come potrei mai riuscire ad essere umano da solo?
Ho bisogno del tuo calore, dimmi cosa vuoi… cosa vuoi!

* * * (¼)- 6.25     

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