Regia di Piergiorgio Gay vedi scheda film
Gianni Orzan è uno scrittore di libri per bambini, ha una moglie, un figlio di otto anni, vive a Trieste. La sua è una vita tranquilla. Da circa una settimana è morto suo padre, un generale dell’esercito col quale non ha mai avuto un buon rapporto, né durante l’infanzia, né nell’età adulto (periodo nel quale si aggiungono le divergenze politiche: Gianni è di sinistra e parla del padre come di un fascista). Una sera lo scrittore è avvicinato da uno strano tipo, Gianni Bogliasco, il quale pare conoscere molti particolari della sua vita. Bogliasco dice anche di essere un amico del padre, ma soprattutto racconta una storia che per Gianni Orzan è assurda: suo padre sarebbe stato una spia del Kgb e non un vero fascista, un ufficiale dell’esercito russo che al termine del secondo conflitto mondiale avrebbe ucciso un militare italiano prigioniero prendendone il posto. La vita dello scrittore è poi ulteriormente messa alla prova dalla moglie Anna che con una lettera gli confessa d’averlo tradito.
Tratto dall’omonimo romanzo di Veronesi, il film di Piergiorgio Gay si ritaglia alcuni momenti originali rispetto al libro presentando il personaggio di Qwerty Uiop, protagonista dei romanzi fantasy di Gianni, come alter ego del suo creatore. Le immagini di fantasia non sono altro che un’originale immersione nell’animo di Gianni che, così come accade a Qwerty, lentamente si riavvicina a quel padre che credeva diverso da quello che in realtà era. Per rafforzare il parallelismo tra Qwerty e Gianni ci sono anche un paio di flashback in cui il giovanissimo Gianni è interpratato dallo stesso attore-bambino che veste i panni di Qwerty, solamente Gay modifica la luce delle scene, segnando maggiormente l’irrealtà del mondo di fantasia. Il regista purtroppo non inventa particolari soluzioni visive, affidandosi strettamente al credo della non-scuola Ipotesi Cinema: “far sentire il meno possibile la macchina da presa”, ma la sua non è comunque una regia del tutto piatta. Non si serve più di tanto delle possibilità espressive della mdp, ma sfrutta la storia, le sue simbologie (il già citato rapporto Qwerty/Gianni) e quelle degli oggetti (molto bello il paralleismo tra l’immagine del passato in cui il bambino-Gianni trova una pistola in un cassetto e quella in cui l’adulto-Gianni trova, in quello stesso cassetto, un paio di occhiali e una lente: le realtà che rappresentava quella pistola chiusa in un cassetto era ignota al bambino, ma ora le lenti simboleggiano uno svelamento della verità agli occhi di un Gianni, il quale, finalmente, comincia a vederci chiaro sul conto di suo padre).
I personaggi sono ben presentati: Gianni come un altruista che non esita a offrire 7000 Є a un donna che ha bisogno di soldi, come un uomo semplice che quindi tanto più facilmente si lascia sommergere dalla “forza del passato” che improvvisamente irrompe nella sua vita; Bogliasco mostra la faccia normale di chi una vita normale non l’ha quasi mai avuta, ed è sicuramente una delle migliori spie (o ex spie) mai viste sullo shcermo, in quanto ritratta “in forma di essere umano” e nemmeno di quelli che sembrano passarsela meglio; Anna è una figura secondaria e non meglio caratterizzata, ma del resto la sua presenza non è tanto importante per se stessa, quanto per complicare ulteriormente la crisi di Gianni.
Anche gli attori sono degni interpreti dei loro ruoli: Sergio Rubini dimostra, come già si vedeva ne La stazione da lui stesso diretto, che si trova molto più a suo agio con personaggi tranquilli, dimessi e non con quelli più esagitati; Bruno Ganz dà un aspetto allo stesso tempo ambiguo e aperto al suo Gianni Bogliasco: è una spia che non può scrollarsi di dosso certi modi di essere e fare, ma anche qualcuno che ormai è stato sconfitto dalla Storia; meno interessante Sandra Ceccarelli nel ruolo di Anna, perché si ritrova ad interpretare nuovamente, dopo Luce dei miei occhi, un personaggio depresso, con la differenza che ora la sua interpretazione rischia di diventare un po’ manierata.
Complessivamente un film apprezzabile, magari non dei più straordinari (dall'autori di Tre storie ci si poteva sicuramente aspettare di più), ma che porta qualche novità nel panorama narrativo del cinema italiano dove si fanno sempre troppe commedie e si osa poco nei confronti di storie che potrebbero essere di più ampio respiro. La forza del passato è uno di quei rari film che non ha nessun marchio italiano in evidenza, un film che potrebbe trovare un suo pubblico in ogni paese d’europa. Auguriamoci che accada veramente.
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