Regia di Alexander Payne vedi scheda film
In un periodo come questo nel quale assistiamo in Italia a continue disfide tra chi sostiene le “unioni civili” e chi fa di tutto per ostacolarle, la visione dell’opera prima di Alexander Payne cade proprio a fagiolo.
Pur parlando di altro, anche se con punti di contatto, mostra l’ostracismo di certe prese di posizione e la follia che annebbia lo sguardo finendo con l’alzare il livello della contesa.
Ruth (Laura Dern) è una tossica senza fissa dimora con già quattro figli affidati ad altri quando scopre di essere nuovamente incinta.
I coniugi Stoney (Kurtwood Smith e Mary Kay Place) si offrono di aiutarla, ma in realtà vogliono solo assicurarsi che non abortisca; le cose si complicano quando un’associazione dedita alla difesa della libertà di scelta si mette di mezzo ed in poco tempo gli occhi dell’America sono tutti addosso a Ruth che nel frattempo riceve ingenti offerte economiche da entrambi i lati della barricata.
Già all’esordio è chiaro quello che sarà successivamente il (principale) marchio di fabbrica di Alexander Payne, ovvero riuscire a dare toni da commedia, e non del tipo tradizionale, a storie che farebbero pensare a tutt’altro approccio.
E’ un vero “circo” quello che cinge Ruth, fin alla nuova gravidanza praticamente ignorata da chiunque, con le classiche persone perbene, quelle sono disposte a tutto pur di aiutarti, ma solo fin quando stai dalla loro parte.
Il ritratto impostato dal regista affonda nelle contraddizioni e negli errori umani con acume e slanci irressistibili, tra caricature varie, esemplare in tal senso il santone “babysavers” di Burt Reynolds, ed il linguaggio da censura di Ruth; chiaramente Alexander Payne ha in testa quale sia la parte peggiore ma ricerca un (minimo) equilibrio alllargando con la figura di Ruth il discorso sul rapporto tra singolo e collettività.
E nel suo essere fulcro, Laura Dern offre gran reattività con una gamma espressiva ad effetto con la sua Ruth più avida di colla (da sniffare) e dollari che gravida (ed incinta indubbiamente lo è).
Contrastato invece il finale che a livello puramente cinematografico non è all’altezza (arriva drasticamente e lascia quasi tutti in panne), ma al contempo ha un elevato significato simbolico; due poli opposti che si sfidano non nell’interesse dell’individuo (che si defila, perso di vista) ma in funzione del loro credo.
Un film intelligente che possiede la capacità di depistare, o semplicemente di farlo credere (ognuno anche testardamente può rivedersi dalla parte del giusto), con un personaggio sgradevole ed evidente (Ruth) che però al di là dell’abito non è altro che una delle tante facce della medesima medaglia.
Spontaneo ed idoneo a generare discussioni (sul tema e sulle prese di posizione forti più in generale).
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