Regia di Todd Haynes vedi scheda film
In Far From Heaven l’estetica sirkiana dell’ “immagine pulita” è costantemente messa in dubbio da una maglia di incertezze che la trama mette a disposizione, narrando il crollo emotivo ed esistenziale di Cathy Whitaker (Julianne Moore, eccezionale). Haynes si confronta con il cinema del passato domandandosi il ruolo che il tabù comunemente inteso può avere su un edificio formale praticamente inattaccabile, composto da quelle stesse convenzioni che in altri contesti rivelano un film classico, banale, già visto. Infatti il discorso appena fatto può valere anche per l’antonomasia della superficie, l’America degli anni ’50, che sui modi di vivere più naturali, istintivi, spontanei, aveva sempre da ridire. Il riflettersi di questo mondo nelle movenze apparentemente semplici della regia di Todd Haynes, e la continua messa in dubbio delle movenze registiche stesse a partire dalla crisi che le corrispettive certezze narrative subiscono, rendono Far From Heaven un film appuntito, potente, teso in una stretta, eppure (o per questo) fragilissimo, rischioso. Una vera e propria sfida, a far(ewell) to the heaven. Il suo personalissimo addio alla superficie Cathy sembra darlo quando, dopo la decisione di divorziare da Frank (Dennis Quaid), e dopo il dialogo con la (ormai ex) migliore amica Eleanor (Patricia Clarkson), tramite una dissolvenza la vediamo catapultata nella sua casa, a percorrere il vano di rappresentanza che ha sempre accolto feste e leziosi, fintissimi, scambi con amici e vicini, e lei si ferma a fissare il vaso che aveva diligentemente sistemato vicino a una finestra, ritenendo fosse il meglio per l’aspetto della sua abitazione. Sybil, la governante di colore (Viola Davis), interrompe questo estatico momento di mesta, svelta, inquietudine, comunicandole della brutta notizia circa la figlia di Raymond.
Ed è in uno scambio con Raymond (Dennis Haysbert), un campo/controcampo sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole, che Cathy chiede se sia davvero possibile andare oltre la superficie delle cose. Ma Haynes risponde con il finale (Cathy indossa nuovamente il suo foulard apprezzato precedentemente da Raymond): non bisogna andare oltre la superficie, bisogna saperla reinterpretare. Percepire la divinità e l’emozione, come in un dipinto di Mirò.
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